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di Vincenzo Brunelli

Corriere Fiorentino, 14 aprile 2024

I reclusi avevano lavorato per 4 anni nel carcere di custodia attenuata di Solliccianino ma non avevano ricevuto la Naspi. Sette detenuti della casa circondariale “Mario Gozzini”, conosciuto anche come Solliccianino, il carcere a custodia attenuata accanto a Sollicciano, hanno vinto una causa contro l’Inps che si era rifiutata nel 2019 di concedergli l’indennità di disoccupazione (Naspi) dopo aver lavorato per circa 4 anni in carcere dove sono tuttora detenuti. Nel 2021 dopo il diniego definitivo da parte dell’istituto con i loro legali avevano deciso di avviare un procedimento giudiziario per il riconoscimento di quello che ritenevano un loro diritto acquisito. Nei giorni scorsi la sentenza del Tribunale di Firenze che ha condannato l’Inps a pagargli 24 mesi di Naspi, più interessi e rivalutazione. Si tratta di una delle prime pronunce di un Tribunale ordinario dopo la sentenza della suprema corte di Cassazione del gennaio scorso che aveva fatto chiarezza sull’argomento.

La Naspi ha natura previdenziale e non assistenziale e il relativo trattamento economico è collegato a determinati requisiti e presupposti normativi. Non esistono quindi ragioni giuridiche per distinguere tra lavoro svolto in carcere e lavoro svolto in libertà. L’Inps aveva invece negato il beneficio economico ai 7 detenuti di Sollicciano proprio tracciando un solco tra chi lavora fuori dal carcere e chi lavora al suo interno da detenuto. Inoltre il Tribunale fiorentino ha rimarcato un altro aspetto fondamentale, quello relativo ai motivi per cui i 7 detenuti avevano interrotto l’attività lavorativa che non era dipeso dalla loro volontà ma da motivi interni di turnazione. Ma nemmeno se avessero interrotto il lavoro per fine pena avrebbero perso diritto alla Naspi secondo i giudici fiorentini. Insomma una vittoria su tutti i fronti.

Nel cosiddetto lavoro intramurario (in carcere) vi sono diversi rapporti lavorativi (a termine) che si susseguono secondo i prestabiliti criteri di turnazione, e i periodi di inattività tra un contratto e un altro sono quindi assimilabili ad uno stato di disoccupazione involontaria come nel lavoro libero, in quanto scaturiscono da una cessazione del rapporto di lavoro indipendente ed estranea dalla sfera di iniziativa e di influenza del lavoratore e dovuta solo all’indisponibilità dell’occasione di lavoro, al di là della loro volontà.

Per queste motivazioni chiare e precise il Tribunale fiorentino ha dato ragione ai 7 detenuti di Solliccianino e torto all’Inps su tutta la linea. D’altronde la Cassazione, nella sentenza del 5 gennaio scorso, nel richiamare la normativa in vigore e la giurisprudenza della Corte Costituzionale, aveva affermato che la legge prevede che il lavoratore detenuto abbia gli stessi diritti e le stesse tutele spettanti a tutti i lavoratori. Gli ermellini, infatti, avevano ribadito che il fine rieducativo del lavoro non influisce sui contenuti della prestazione e sulle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro. Anzi, il lavoro penitenziario è tanto più rieducativo quanto più è uguale a quello dei lavoratori liberi.

Inoltre, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, i giudici di Piazza Cavour non avevano lesinato passaggi in sentenza molto precisi dove si affermava in maniera perentoria che il lavoro intramurario in carcere è equiparato al lavoro ordinario ai fini previdenziali e assistenziali e che la normativa prevede espressamente che lo stato di detenzione non costituisce causa di decadenza dal diritto all’indennità di disoccupazione. I giudici fiorentini hanno orientato le loro decisioni proprio partendo da questa recente pronuncia della suprema corte di Cassazione che ha messo ordine tra diverse interpretazioni dei vari tribunali italiani in merito all’argomento. I 7 detenuti ora riceveranno a breve tutte le somme dovute.