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di Daniela Domenici

pensalibero.it, 7 marzo 2022

Il “panneggio” per comunicare a distanza, il ritrovo per pregare dei detenuti islamici e la sezione trans. Ma la via verso una detenzione secondo quanto previsto dalla Costituzione è ancora lunga.

Il comma 3 dell’art. 27 della nostra Costituzione sancisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del/la condannato/a. Queste parole sono scolpite nella mia mente e nel mio cuore e sono state il mio modus operandi sia quando ho fatto la volontaria nel carcere di Augusta dal 2008 al 2010 (su cui ho scritto il mio saggio “Voci dal carcere”) e ancora di più quando sono stata prof. d’inglese nel carcere di Sollicciano a Firenze nell’anno scolastico 2016/2017.

Sollicciano si trova al confine tra il comune di Firenze e quello di Scandicci e la prima impressione che dà, appena lo vedi, non è quella dell’articolo 3 della Costituzione. Piuttosto di un brutto, triste ed enorme Colosseo dei nostri giorni: non so se fosse questa l’intenzione di chi l’ha progettato. Da una parte del semicerchio c’è la sezione maschile, dalla parte opposta c’è quella femminile e quella trans; al centro dell’enorme cerchio spazi aperti per fare sport. Sì, perché Sollicciano è una delle poche carceri italiane che ha anche la sezione delle persone trans MtF. Sei anni fa quando insegnavo là alle superiori c’erano una decina di detenute trans, quasi tutte di origine brasiliana, alcune delle quali incontravo e con cui chiacchieravo nel corridoio della scuola durante l’intervallo, il quarto d’ora d’aria. In classe avevo, come alunno, in quinta, un giovane trans FtM con il quale, dopo che gli ho donato il mio saggio sul mondo trans, è nato un dialogo fatto di fiducia e rispetto reciproco e che mi ha dato l’occasione per parlare, un giorno, con alcuni agenti di polizia penitenziaria su chi siano i e le trans e su come interagire con loro: credo sia stato uno scambio molto proficuo per entrambi.

Ho avuto l’occasione anche di vedere il “panneggio” che esiste solo a Sollicciano e che è un modo per “dialogare” a distanza grazie a un alfabeto gestuale fatto con panni bianchi, panneggio appunto. Durante una lezione nella sezione protetta, quella delle persone isolate dal resto della popolazione carceraria, ho notato un inizio di panneggio, mi sono avvicinata alla finestra per cercare di capire cosa si stessero “dicendo” da più di cinquecento metri di distanza e due miei alunni si sono subito resi disponibili a “tradurre” una parte di quel dialogo che, mi hanno detto, di notte si trasforma: non più panni bianchi ma lampadine.

Una cosa che non si può immaginare finché non si entra dentro un carcere è come le persone islamiche possano praticare la loro fede anche dentro quelle alte mura; in classe avevo un giovane che ogni giorno alle due (noi delle superiori insegnavamo dalle 13 alle 17) usciva dalla classe per rientrare dopo un po’. Un giorno gli ho chiesto dove andasse e mi ha risposto che tutti e tutte si ritrovavano in un punto dei corridoi per la preghiera, chi portava un cuscino, chi una coperta per appoggiare le ginocchia.

Ho avuto anche il piacere di assistere a due spettacoli teatrali all’interno di Sollicciano grazie a una formidabile regista che è riuscita a far collaborare detenuti e detenute mettendo in luce le potenzialità di ognuno/a di loro perché il comma 3 dell’art. 27 della Costituzione non rimanga lettera morta ma persegua il fine di rieducarli/e affinché escano uomini, donne e trans migliori.