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di Emanuele Baldi

La Nazione, 27 luglio 2023

Abdel, a Sollicciano per due anni, racconta la sua esperienza. “Se scoppia una rissa tra due detenuti chiudono in cella tutti anche per giorni”. “Se mi va di parlare della vita nel carcere di Sollicciano? Certo, non vedo l’ora...”. Abel è nato in Perù 34 anni fa, è arrivato da bambino a Firenze. È stato dentro dal 2021 alla primavera di quest’anno. A difenderlo l’avvocatessa Elisa Baldocci.

Sanchez, la sua colpa?

“Tentata estorsione. L’unica cavolata della mia vita. L’ho pagata, pensi che ero incensurato”.

Il nostro giornale ha raccontato le condizioni di Sollicciano. Sembrano drammatiche…

“Io l’ho vissuto in carne e ossa il carcere. Una sera davanti alla tv dissi al mio compagno di cella. ‘Quando esco racconto tutto’”.

Siamo qui ad ascoltarla…

“Non saprei neanche da dove cominciare”.

La sua cella com’era?

“Le dico subito che la pulizia praticamente non esiste. C’è muffa a volontà, i materassi sono disastrosi, sono fatti del materiale delle spugne con cui si lavano i piatti. E poi le cimici. Cimici ovunque”.

Il cibo?

“Non ne parliamo. La pastasciutta viene cotta e poi coperta. Così quando arriva in tavola sembra pongo. Non ha sapore. Il riso poi... neanche gli toglievano l’acqua, ci veniva dato che sembrava una zuppa”.

Non il massimo…

“No. E poi sempre cibi serviti a un giorno dalla scadenza. Anzi una volta abbiamo mangiato anche la besciamella scaduta”.

In questi giorni si sfiorano i 40 gradi. Immagino che in carcere non ci sia il condizionatore...

“Macché, nella mia cella c’era solo un ventilatore vecchissimo che non serviva praticamente a nulla. L’estate è un inferno”.

E l’inverno?

“Le dico solo che uno l’abbiamo passato senza riscaldamento. Era rotto. Lo hanno riparato a aprile, quando non serviva più”.

Quante ora potevate trascorrere fuori dalle sbarre?

“Due ore al mattino, dalle 8 alle 10. E poi il pomeriggio dalle 13 alle 15. Ma in cortile non c’è quasi nulla. Ricordo un vecchio calcio balilla e un po’ di sedie che certo non bastavano per tutti”.

A proposito, i rapporti con gli altri detenuti?

“Se uno fa come me e si comporta bene rispettando tutti, ogni cosa va per il meglio. Ho stretto anche delle belle amicizie a Sollicciano”.

Non si è mai trovato in mezzo ai guai?

“Non per colpa mia, casomai in certi casi ho cercato di sedare qualche rissa. Anche in questi casi dopo succedono cose secondo me non giuste...”

Tipo?

“A parte che le guardie non intervengono mai, aspettano solo che la situazione si calmi. E poi se qualcuno fa casino a pagare sono tutti. Una rissa e per punizione nessuno esce più dalla cella per l’ora d’aria. Anche per una settimana”.

Deve essere difficile...

“È durissima, serve un grande equilibrio mentale. Ci vuole testa. Perché è come se tu fossi doppiamente rinchiuso”.

Com’è la giornata tipo?

“Alle 6 e 30 iniziano i primi rumori. Vengono portate le medicine a chi ne ha bisogno. Poi viene portata la colazione che non sto neanche a dirle che roba sia...Poi si va in cortile, c’è chi segue qualche corso”.

Contatti con l’esterno?

“Il cellulare non esiste. Ai carcerati danno delle schede telefoniche ricaricabili. Si può fare una chiamata di 10 minuti al giorno al massimo... Io per i primi sei mesi non ho potuto chiamare nessuno”.

Completamente isolato dal mondo fuori?

“Potevo comunicare solo con le carte postali”.

Ha mai ottenuto permessi brevi per uscire?

“Non li ho voluti. Ho una figlia piccola e non avrei sopportato l’idea di vederla magari per un paio d’ore e poi dover rientrare là dentro”.

A proposito cos’ha provato quando il cancellone di Sollicciano si è riaperto e dopo due anni è tornato libero?

“Mi sono sentito spaesato. Era in strada con due borsoni di plastica, ho cercato una cabina del telefono per chiamare la mia mamma. Poi nei giorni seguenti ho iniziato a uscire. Correvo. Ero confuso”.