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foggiatoday.it, 29 luglio 2023

Si intitola “Chissà se i pesci piangono”, la nuova avventura della cooperativa che dal 2010 gestisce il laboratorio di legalità “Francesco Marcone” a Cerignola. È partita a maggio la nuova avventura di “Pietra di Scarto”, impegnata dal 1996 nell’inserimento socio-lavorativo di persone in situazione di fragilità e che dal 2010 gestisce il Laboratorio di Legalità “Francesco Marcone”, un bene confiscato alla mafia su cui - tra gli altri - si coltivano e si trasformano pomodori.

“Chissà se i pesci piangono” si chiama il nuovo progetto (che durerà per 12 mesi), realizzato con il sostegno di Regione Puglia e in collaborazione con il Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà. Il titolo, ispirato ad un libro di Danilo Dolci, punto di riferimento dell’organizzazione, vuole interrogare la comunità sulla necessità di una concezione costituzionale del percorso detentivo come elemento di redenzione, riscatto e rivoluzione, andando a rompere stereotipi e pregiudizi.

“La nostra ambizione va oltre la possibilità di offrire un’occupazione e quindi un reddito a chi vive la realtà del carcere. Quello che vogliamo ottenere è dimostrare come attraverso la leva del lavoro, la persona - soprattutto in un percorso di pena - possa trovare gli stimoli utili ad una propria autodeterminazione, capace di sviluppare nuove letture di sé e del circostante”, afferma Pietro Fragasso, presidente della Cooperativa.

“La possibilità inoltre di poter realizzare questa esperienza su un bene confiscato alla mafia realizza esattamente l’obiettivo fondamentale del riutilizzo sociale: la possibilità di costruire cambiamento incidendo sul reale, sulla vita delle persone, sulle loro storie che diventano ricchezza per tutta la comunità”.

Dalla formazione “on the job” in agricoltura sulle varie colture presenti (pomodoro, olive, orticole e piante da frutto), si arriverà alla conoscenza dell’attività di trasformazione agro-alimentare con una formazione dedicata e il perseguimento di un attestato da alimentarista.

“È necessario comprendere che il carcere non è un non-luogo, ma luogo della società che coinvolge tutti in responsabilità. Quelli che vivono “dentro” restano cittadini, proprio come noi, e hanno diritti e doveri, non solo obblighi. Riccardo e Michele stanno lavorando sodo per riprendere il controllo delle proprie esistenze e a noi - tutti noi - corre l’obbligo di stargli accanto senza giudicare e condannare ancora”.