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di Filippo Ortona

Il Manifesto, 30 luglio 2023

Intervista all’avvocato Arié Alimi: “Avanzano rivendicazioni mentre li si accusa di violenze sempre più gravi. Arié Alimi negli anni è divenuto una delle figure emblematiche della lotta contro le violenze e il razzismo della polizia francese, difendendo in tribunale numerose vittime di violenze.

Com’è possibile che ai sindacati della polizia francese siano bastati pochi giorni di protesta per essere ricevuti e ascoltati dal governo Macron?

Non è la prima volta che succede, anzi. A colpire è il fatto che ciò avvenga nel quadro di una sequenza giudiziaria, sociale e politica particolare, caratterizzata dalla morte di Nahel, poi dal pestaggio di Hedi e da una serie di violenze poliziesche tra le quali decine di casi di mutilazione. In un momento in cui è la popolazione a essere vittima della violenza della polizia, le loro richieste sono controcorrente rispetto al fenomeno sociale. I poliziotti avanzano delle rivendicazioni, proprio mentre li si accusa di violenze sempre più gravi e frequenti. E tuttavia, il ministero degli interni li segue in tutto e per tutto: segno che il potere politico è tra le mani di un vero e proprio “potere poliziesco”.

Cosa intende con “potere poliziesco”?

Di fatto, i funzionari di polizia godono in Francia di un privilegio della violenza e dell’impunità. Quello che chiedono i loro sindacati è di consacrare da un punto di vista legislativo questo privilegio. Se questa rivendicazione venisse soddisfatta, assisteremmo all’affermazione definitiva di questo “quarto potere”, esterno ai poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo. Tutto ciò è possibile perché il potere politico è estremamente fragile e necessita di rispondere positivamente alle richieste che provengono dalla polizia. L’istituzione poliziesca ha varcato una soglia e utilizza il potere che detiene sulla politica per ottenere uno status particolare e poter fare quello che vuole. Ovvero, eventualmente, poter uccidere o ferire senza aver paura delle conseguenze giudiziarie.

Come interpretare questa evoluzione del potere della polizia in Francia, la cui violenza e impunità non sembrano essere scalfite dai numerosi scandali di questi ultimi anni?

Nel mio libro, L’État hors-la-loi (in uscita per La Découverte a settembre 2023), analizzo questa evoluzione, in particolare lo spazio che hanno assunto le violenze della polizia e quelle che io chiamo “illegalità di Stato”. Sono tendenze che si sono manifestate nell’ultimo decennio, soprattutto nei quartieri popolari contro le persone discendenti dall’immigrazione e nell’ordine pubblico contro le persone che manifestano opposizioni politiche. È un processo avvenuto per gradi, sotto l’egida della politica. Dalla destra di Sarkozy ai socialisti con Bernard Cazeneuve (primo ministro di Hollande e autore della legge che ha riformato la legittima difesa nel 2017, ndr), fino a Emmanuel Macron. Con “illegalità di stato”, intendo definire una pratica deliberata dell’illegalità da parte dell’istituzione poliziesca o da parte delle amministrazioni dello Stato. C’è in questi settori una volontà di non rispettare la legge, soggiacente a tutta una serie di fenomeni: penso alle violenze della polizia, che sono uno strumento di controllo sociale sistemico; penso all’utilizzo sproporzionato, dunque illegale, delle armi cosiddette “intermediarie”; penso ai controlli di polizia esercitati su base “etnica” nei quartieri popolari; o ancora ai divieti di manifestare indetti dai prefetti… Tutti esempi di prassi generalizzate, utilizzate correntemente dallo Stato e dagli stessi poliziotti, in maniera deliberata, eppure del tutto illegali.

Come possono la società civile e i movimenti francesi affrontare tale evoluzione inquietante del ruolo della polizia?

Una soluzione che io e tanti altri abbiamo adottato in questi anni è di intraprendere azioni giudiziarie sistematiche, particolarmente aggressive, tanto nei confronti degli agenti accusati di violenze quanto delle istituzioni che impediscono che gli agenti vengano sanzionati. È un lavoro che coinvolge da anni molti avvocati e militanti, che ha portato risultati notevoli ma che ha anche condotto alla situazione presente di scontro con l’istituzione poliziesca. Oggi assistiamo infatti a un punto di rottura: i poliziotti si rendono conto che possono essere perseguiti, malgrado le promesse fatte dai vari esecutivi in questi anni. I politici hanno promesso molte cose agli agenti, ora questi ultimi si accorgono che il potere giudiziario è indipendente dall’esecutivo e che non tutte queste promesse potranno essere esaudite. Quello che i sindacati di polizia chiedono oggi di poter sfuggire all’autorità giudiziaria, è questo il senso dietro alla rivendicazione di uno statuto giuridico particolare. Qualora lo ottenessero, obiettivamente, si tratterebbe di un’uscita dalla democrazia. Sarebbe l’inaugurazione di uno stato poliziesco che permette ad alcuni di essere formalmente al di sopra della legge, e quindi di tutti gli altri cittadini.