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di Aldo Simoni

Corriere della Sera, 22 gennaio 2024

L'errore giudiziario determinato da uno scambio di persona: un commerciante di auto ha trascorso anche un anno ai domiciliari. Quell’accusa infamante lo ha tormentato per più di tre anni. Prima il carcere, poi i domiciliari dopo che i giudici del tribunale di Frosinone lo avevano condannato per la violenza sessuale su una studentessa 21enne aggredita dal branco in un casolare. Ora la Corte di appello, riconosciuta la sua piena innocenza, ha invece ordinato al ministero dell’Economia di risarcirlo con oltre 160 mila euro per l’ingiusta detenzione.

È la stessa Corte a ricordare come Elvio Milvio, 30 anni, “fu privato della libertà dal giorno dell’arresto (19 dicembre 2016) fino a quello della sostituzione con gli arresti domiciliari (8 agosto 2018) per 598 giorni di custodia cautelare e, dal giorno dei domiciliari, fino alla liberazione (21 gennaio 2019) per ulteriori 166 giorni”.

Rito abbreviato senza testimoni - Ma come è stato possibile quest’errore? La Corte specifica che “l’imputato, davanti al gip, negò di essere coinvolto nel delitto per il quale si procedeva, poiché, a suo dire, era vittima di un errore di persona, poi riconosciuto dalla sentenza di assoluzione in appello”. I giudici hanno stigmatizzato il modo in cui furono svolte le indagini che non appurarono la veridicità del suo alibi (“Ero a casa con mia moglie”) e nessuno, a cominciare dai carabinieri, si prese la briga di verificarlo. “Va detto - spiega l’avvocato di Milvio, Emanuele Carbone - che il processo di primo grado si è svolto con il rito abbreviato, per cui non ci fu modo di ascoltare alcun testimone, moglie compresa”. In primo grado ai 6 imputati furono inflitte condanne fra i 5 e i 6 anni. A Milvio 5 anni e 4 mesi di reclusione. Pene confermate in appello, ma non a lui che è stato assolto.

Il risarcimento - Ma, allora, come finì al centro delle indagini? “La vittima non fu precisa nell’indicare i suoi stupratori - ricorda l’avvocato Carbone -. La prima sera fece due nomi. Poi quelli degli altri. L’ultimo, Milvio appunto, disse invece di averlo riconosciuto sui social. Ma nel casolare dello stupro, al contrario degli altri 5, non furono trovate tracce del mio assistito”. “È la fine di un incubo - spiega il 30enne, gestore di una concessionaria di auto -. La cosa più triste è aver ritrovato mia figlia ormai grande: aveva solo un anno quando mi hanno arrestato. Voglio ricostruire un rapporto con lei”. Per Milvio tuttavia l’odissea giudiziaria non è ancora conclusa: l’ordinanza della Corte d’appello - che riconosce al 30enne 160.593 euro di risarcimento - sarà impugnata dal suo avvocato che ha accettato l’importo come anticipo, visto che Milvio e lui stesso ritengono il danno subìto superiore a quanto stabilito dai giudici. Per questo si rivolgerà alla Corte di Cassazione per chiedere l’importo massimo previsto per l’ingiusta detenzione: 516 mila euro.