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di Claudio Tadicini

Corriere della Sera, 12 settembre 2023

Salvatore Monda è morto a 44 anni per un tumore ai polmoni. “Prima sentenza in Italia” ha spiegato il segretario del Sappe Federico Pilagatti. Morì per il fumo passivo inalato durante il lavoro in carcere e ora il Ministero della Giustizia è stato condannato a risarcire i familiari con un milione di euro. La sentenza, la prima in Italia, è stata emessa lo scorso 5 settembre dal giudice onorario del Tribunale di Lecce Silvia Rosato, che ha condannato il dicastero al maxi risarcimento per la morte di un agente penitenziario Salvatore Monda di 44 anni, morto per tumore ai polmoni contratto dopo avere inalato il fumo passivo per 6 ore al giorno, per vent’anni. La notizia è stata resa nota dal Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria della Puglia), tramite il segretario Federico Pilagatti, con riferimento alla sentenza della giudice Silvia Rosato, depositata lo scorso 5 settembre.

“Con questa sentenza che è la prima in Italia, il collega morto a 44 anni di tumore ai polmoni, senza aver mai fumato nella sua vita, ma costretto ad inalare nella sua breve vita per ore ed ore il fumo passivo durante l’orario di lavoro potrà riposare in pace, mentre la moglie potrà avere un pur minimo riconoscimento per l’immane dolore sopportato, e le gravi fatiche per andare avanti e tirare su tre bimbi piccoli”, dice il sindacalista in una nota.

“Il Sappe è ben cosciente che la sentenza non elimina le gravi problematiche connesse al fumo passivo poiché le strutture penitenziarie sono quelle che sono, come pure sappiamo che non si può togliere la possibilità ai detenuti di fumare del tutto”, prosegue. “Quello che chiediamo con urgenza è installare nelle sezioni detentive il maggior numero di aeratori possibile, riconoscere tutte le patologie contratte dai lavoratori connesse con il fumo passivo dipendenti da causa di servizio con categoria, dotare i poliziotti di presidi sanitari(mascherine) per una maggiore protezione dal fumo e prevedere un’indennità specifica per i poliziotti che lavorano a contatto con la popolazione detenuta, per compensare il rischio sanitario a cui vanno incontro”, aggiunge.

La storia - L’uomo - assistente capo della Polizia Penitenziaria assegnato negli anni alle case circondariali di Milano, Taranto ed infine Lecce - non era un fumatore così come la moglie, rimasta vedova con tre figli minorenni a carico l’11 luglio 2011.

Secondo il giudice Rosato, il Ministero della Giustizia - non ottemperando alle prescrizioni previste dal Dpcm del 23 dicembre 2003 in materia di “tutela della salute dei non fumatori”, che prevedeva anche in carcere reparti per non fumatori nonché locali chiusi ai fumatori purché dotati di impianti di ventilazione e ricambio d’aria regolarmente funzionanti - avrebbe omesso di predisporre le adeguate misure di prevenzione, di richiedere l’osservanza dell’obbligo di legge di non fumare e di sanzionare i trasgressori, favorendo così l’insorgenza, la manifestazione clinica ed il decorso della patologia tumorale che portò al decesso dell’agente penitenziario. “Il ministero - scrive il giudice - non ha dimostrato in giudizio di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno”.

Il nesso causale tra esposizione lavorativa al fumo passivo sul luogo di lavoro e l’insorgere della neoplasia polmonare fu accertato dal ctu Sandro Petrachi.

La richiesta di interventi urgenti - “Il Sappe chiede al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di intervenire presso il Ministro Nordio affinché non proponga nessun appello poiché le responsabilità sono chiare e dimostrate, per cui un ricorso servirebbe solo per perdere tempo e non per fare giustizia uccidendo un’altra volta il collega morto e lo impegni a presentare le richieste del sindacato, già al prossimo consiglio dei ministri, come primo atto di risarcimento per i danni causati a migliaia di poliziotti, costretti a lavorare in ambienti altamente inquinati per anni, conclude.