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di Simona Musco

Il Dubbio, 7 marzo 2024

“Non saranno 40 magistrati fuori ruolo in più a incidere sulla lunghezza dei processi”, diceva l’altro ieri il ministro della Giustizia Carlo Nordio in un’intervista al Foglio. Un concetto che due togati indipendenti del Csm, Andrea Mirenda e Roberto Fontana, sembrano non condividere, stando alla richiesta, inviata alla Terza Commissione, di “riscrivere” la circolare numero 13778 del 24 luglio 2014, in tema di trasferimenti dei magistrati, conferimento di funzioni e destinazione a funzioni diverse da quelle giudiziarie, tenendo conto dell’impatto delle toghe distaccate sul sistema giustizia.

E a riprova del fatto che si tratti di un tema tutt’altro che secondario c’è anche l’intervento in plenum della prima presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, che in plenum aveva preso posizione affinché la nuova circolare cancelli il ruolo di meri “passacarte” attualmente in capo ai consiglieri. L’auspicio di Cassano è infatti che i membri del Csm possano valutare “la concretezza, l’effettività e la possibilità di un reale apporto del magistrato fuori ruolo” nell’ufficio che andranno a occupare. I fuori ruolo, affermano Mirenda e Fontana, di fatto “smentendo” Nordio, incidono infatti sull’efficienza del sistema, soprattutto in questo momento storico, caratterizzato dall’assenza di 1700 magistrati negli uffici e dal gravoso impegno, per il comparto giustizia, di raggiungere gli obiettivi del Pnrr.

Ma non solo: a volte, scrivono i due togati indipendenti, “il ritorno in servizio del magistrato “fuori ruolo” si accompagna “a concrete difficoltà organizzative per gli Uffici, già gravati da numerosi problemi”. A ciò si aggiunge il problema forse principale, ovvero il rischio “di appannamento dell’immagine di terzietà e indipendenza del magistrato, per le peculiari modalità della genesi dell’incarico (chiamata diretta da parte dell’esecutivo, in posizione di diretta subordinazione gerarchica e sulla scorta di criteri di merito non palesati)”. Una chiamata diretta che pesa notevolmente, poi, nel curriculum del magistrato, quando si tratterà di valutare un avanzamento di carriera.

Di fronte a questo, parte del Csm, nella seduta del 17 gennaio, si era posto il problema dell’anzianità di servizio richiesta al magistrato, che può accedere alle stanze della politica già con la seconda valutazione di professionalità. “Baby” fuori ruolo, insomma, che, aveva evidenziato Mirenda, non garantirebbero la giusta competenza per fornire agli uffici ministeriali il proprio contributo tecnico-giuridico. Il problema, secondo i due togati, è anche la vaghezza della disciplina “volta a verificare, in concreto, l’effettiva idoneità e competenza del magistrato ad esercitare le funzioni esterne indicate nonché - stando almeno alla prassi consiliare - l’effettivo beneficio, in termini di prestigio, che l’incarico espletando apporterà all’ordine giudiziario”. Le proposte di Mirenda e Fontana (finora senza riscontro) alla Terza Commissione sono dunque due. La prima è pescare i fuori ruolo in uffici che non superino il 10 per cento di scopertura. La seconda prevede invece una valutazione oggettiva dell’attitudine del magistrato all’incarico richiesto, “nonché concreta rispondenza di esso agli interessi superiori dell’amministrazione della giustizia”. Una valutazione da compiere mediante verifica dei titoli, esame delle esperienze maturate nelle materie di destinazione, audizione dell’interessato ed elaborazione, da parte della Commissione, di un rigoroso catalogo delle aree tematiche che rispondono alle esigenze dell’incarico.

Intanto, sul fronte politico, la Commissione Giustizia del Senato ha votato ieri il parere sui fuori ruolo, di fatto rinviando l’entrata in vigore della (esigua) riduzione del numero massimo di magistrati dislocabili al 31 dicembre 2025, in vista dell’attuazione del Pnrr. Un rinvio che ha indignato le opposizioni, a partire dalla senatrice grillina Ada Lopreiato.

“Sostanzialmente ha sottolineato -, il punto più rilevante del decreto viene posticipato di due anni. Ciò denota una schizofrenia legislativa: da un lato, per quanto concerne l’atto del Governo n. 110 (la riforma dell’ordinamento giudiziario, ndr), è stato approvato un parere che, se attuato, potrà essere suscettibile di uno scrutinio di costituzionalità in quanto in palese eccesso di delega con riferimento alla previsione dei test psicoattitudinali, dall’altro, con il parere proposto dal relatore sul provvedimento in esame si vogliono congelare gli effetti della parte di testo più importante”.

Delusione condivisa dal senatore dem Alfredo Bazoli e da Ivan Scalfarotto di Italia viva, secondo cui il provvedimento evidenzia “la grande difficoltà del Paese a risolvere il problema della separazione dei poteri che passa anche attraverso la limitazione del fuori ruolo dei magistrati, i quali spesso finiscono per svolgere funzioni diverse da quella giurisdizionale loro assegnata dalla Costituzione. Essendo il tema del fuori ruolo uno dei punti qualificanti della legge Cartabia non posso non sottolineare come il rinvio di due anni dell’entrata in vigore del tetto del numero dei magistrati rappresenti una netta smentita di molte delle affermazioni della maggioranza che, per altri versi, si fa portavoce della necessità della separazione delle carriere e della differenziazione dei ruoli”.