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di Carmine Di Niro

L'Unità, 19 ottobre 2023

Dopo la Rai è il turno della commissione Giustizia del Senato. I rapporti di “amicizia” tra la destra di governo e il Movimento 5 Stelle sulle nomine pubbliche si spostano infatti dal CdA di viale Mazzini a Palazzo Madama, in occasione del voto per la nomina dei vertici del Garante dei detenuti, o più tecnicamente del Garante delle persone private della libertà. Le opposizioni, composte dagli esponenti di Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra e Italia Viva, hanno lasciato l’aula criticando la decisione della maggioranza di non aver voluto neanche ascoltare i tre candidati scelti dal governo.

Si tratta, come noto da tempo, dell’ex deputato di Forza Italia Felice Maurizio D’Ettore, professore di Diritto privato all’Università Firenze che a ridosso delle scorse elezioni politiche si era spostato in Fratelli d’Italia. Con lui nella “terna” ci sono l’avvocata romana Irma Conti, indicata dalla Lega e Mario Serio, professore ordinario di Diritto privato comparato nell’Università di Palermo, in quota 5 Stelle.

Un metodo, quello utilizzato dalla maggioranza, che i membri Pd della commissione Alfredo Bazoli, Anna Rossomando, Franco Mirabelli e Walter Verini hanno definito “inaccettabile e intollerabile”, decidendo di non partecipar al voto. I quattro senatori Dem sottolineano anche come i candidati scelti dal governo “per quanto degne persone, non hanno alcuna esperienza nel campo, e per quanto riguarda il candidato presidente non hanno neppure le caratteristiche di indipendenza necessarie”.

Il riferimento è al possibile ostacolo per la nomina di D’Ettore: secondo le regole istitutive del Garante non può essere scelto un dipendente dalla pubblica amministrazione negli ultimi cinque anni, ma D’Ettore ha un incarico universitario da professore di Diritto privato a Firenze.

I senatori Dem denunciano poi che la maggioranza “con un atto di arroganza finale ci ha perfino negato la possibilità di audire le persone candidate in commissione”. Stessa posizione tenuta anche da Ivan Scalfarotto, capogruppo di Azione-Italia Viva in commissione Giustizia al Senato, che sottolinea come dal governo siano stati proposti “due professori di diritto privato (tra cui un ex parlamentare) e una penalista esperta di diritto penale societario. Persone degnissime, ma un’esperienza notevole di carceri e in particolare di diritti umani, dai curricula certamente non emerge”.

Ma soprattutto Scalfarotto sottolinea come il governo di Giorgia Meloni “non ha nulla da temere” perché “quando è il momento di votare, se c’è in ballo qualche poltrona, il Movimento 5 Stelle non manca mai”. A votare la terna sono stati i 12 senatori di maggioranza spalleggiati dai tre del Movimento 5 Stelle.

“Anche il senatore Scarpinato, in teoria il più acerrimo e inossidabile rivale del dichiarato garantismo delle destre, è prontamente venuto in soccorso della maggioranza ratificando senza fiatare i tre candidati che la maggioranza ha imposto, al di là del dubbio possesso dei requisiti previsti dalla legge e in assenza anche di audizioni che permettessero di verificare le competenze dei prescelti. Quando si tratta, insomma, di ottenere delle cariche - che sia una vicedirezione di rete o un garante dei detenuti la questione non cambia - il Movimento 5 Stelle non manca mai. Se qualcuno cercava in questa legislatura la stampella del governo, direi che possiamo dichiarare la ricerca ufficialmente terminata”, denuncia Scalfarotto.

Per il via libera definitivo alla terna bisognerà comunque attendere il voto della Camera: a Montecitorio la commissione Giustizia non ha ancora dato il via libera, ma anche lì la maggioranza ha già bocciato l’idea di ascoltare i tre candidati.