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di Giuseppe Filetto

La Repubblica, 4 marzo 2024

La Procura di Genova apre un’inchiesta. Ancora qualche giorno di carcere e Danila Sasso sarebbe stata libera, avrebbe lasciato Pontedecimo e sarebbe tornata a vivere con l’anziana madre a Savona, e con la famiglia avrebbe festeggiato il Natale. “Invece, a dicembre si è ammalato il giudice che seguiva la vicenda e che avrebbe dovuto decidere per gli arresti domiciliari, così ha passato il fascicolo ad un altro - racconta la sorella Laura -; quest’ultimo ci ha detto che doveva rileggersi le carte, sicché Danila è rimasta in carcere senza cure mediche, fino al giorno in cui è morta”. Il 22 febbraio scorso. Tanto che sulla vicenda, dopo l’esposto da parte della famiglia, la Procura di Genova ha aperto un’inchiesta, affidandola al pm Giuseppe Longo. Lunedì scorso è stata effettuata l’autopsia in presenza del medico-legale Davide Bedocchi indicato dalla magistratura e del suo collega, consulente di parte, Luca Vallega. Gli esami necroscopici avrebbero stabilito che la donna è stata stroncata da “un processo settico di polmonite in stato avanzato”.

Questa volta non parliamo di un Caso Cucchi, né di Alberto Scagni (l’assassino della sorella Alice) picchiato prima nel carcere di Marassi da un suo compagno di cella, poi a sangue all’interno di quello di Valle Armea, a Sanremo. Ancora meno, in questo caso, si tratta di torture, come quelle denunciate nel penitenziario di Ivrea. Questa volta, però, raccontiamo le denunce di una donna, Laura Sasso, che sostiene di “aver visto” la fine della sorella nella casa circondariale di Pontedecimo: “Non è morta di fame, né di sete, né di freddo ma per mancate cure mediche”.

“Vita travagliata da sempre, quella di Danila di 60 anni - confessa la sorella - ma seguita dalla famiglia, mai abbandonata a sé stessa, supportata da due fratelli e una madre novantenne, costantemente dedicata a lei”. La donna era finita in carcere lo scorso 29 settembre, a seguito di una vasta indagine della polizia sul traffico di droga. “Mia sorella era una cocainomane - aggiunge Laura - non certo una spacciatrice”.

Adesso, la famiglia sostiene che Danila sia morta per mancanza di cure mediche, nonostante vi siano state diverse richieste di aiuto “andate tutte a vuoto”. Anche se dal polo sanitario del carcere respingono ogni addebito. E chiariscono: “La sorella ha chiamato lo stesso giorno in cui Danila Sasso è stata arrestata, comunicandoci che prendeva un farmaco anti-ipertensivo. La nostra cardiologa che l’ha visitata, ha detto che quel medicinale (con quel nome) non ce l’avevamo, ma che saremmo stati in grado di somministrare la medesima terapia, con la stessa molecola e lo stesso dosaggio. Peraltro, la donna prendeva anche antidepressivi e metadone”.

L’avvocato Antonio Ardagna, di Savona, incaricato dalla famiglia Sasso, se da una parte esclude che Danila sia morta per maltrattamenti in carcere, dall’altra però sostiene che avrebbe avuto bisogno di un farmaco con dosaggio diverso, soprattutto perché aveva un rene che non funzionava. E aggiunge: “Il minimo che, secondo me, si sarebbe dovuto fare in presenza di una situazione di salute complicata, sarebbe stato portarla in ospedale”. Ma anche in questo contesto dal polo sanitario di Pontedecimo affermano che la donna nelle settimane e nei giorni precedenti al decesso avrebbe avuto diversi ricoveri ospedalieri.

Alquanto diversa la versione sostenuta dalla sorella Laura. Racconta che quando ha saputo che Danila stava male, ha chiamato e le ha risposto un infermiere: “Mi ha detto che non era presente il medico ed ha riagganciato. Ho chiamato dopo e mi ha risposto il medico, ammettendo che la pastiglia data a mia sorella aveva un dosaggio diverso e che, purtroppo, quella prescritta non l’avevano”.

Comunque, Laura Sasso nel suo esposto presentato in Procura se da un lato dice che “non è possibile morire così oggi giorno, non deve più accadere a nessuno e non mi fermerò, voglio sapere la verità, andrò avanti finché non avrò giustizia”, dall’altro punta l’indice contro l’assenza di adeguata assistenza sanitaria all’interno del carcere di Pontedecimo. D’altra parte, lo stesso giorno del decesso il segretario regionale della Uil Polizia Penitenziaria, Fabio Pagani, aveva scritto sulla “difficile situazione carceraria e come non esista una copertura sanitaria h24 mentre a Pontedecimo ci sono detenute con problemi sanitari e patologie che necessiterebbero di cure e sorveglianza medica”. Sempre dal polo sanitario rispondono con i numeri: “Dodici ore quotidiane di assistenza medica assicurata a 147 detenuti, quando la normativa impone l’assistenza di 24 ore soltanto in carceri con più di 225 reclusi”.