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di Erica Manna

La Repubblica, 27 giugno 2024

Daniela era detenuta a Pontedecimo, ancora non si conoscono gli esiti dell’autopsia effettuata il 22 febbraio. La Procura ha aperto un’inchiesta. Cinque borsoni da palestra. Sopra sono appiccicati dei post-it gialli, con su scritto un nome e un numero. Sasso, 11. “La vita di mia sorella è tutta lì dentro. Io non ho ancora trovato la forza di aprirle”. Laura Sasso nei giorni scorsi è andata a recuperare gli effetti personali di sua sorella Danila. Danila era detenuta a Pontedecimo: era finita in carcere il 29 settembre, in seguito a una indagine della polizia sul traffico di droga. Da Pontedecimo non è mai uscita. Danila è morta il 22 febbraio: per una polmonite in stato avanzato. Ma sua sorella Laura non si arrende: “Danila è stata abbandonata a se stessa. Le cure mediche sono state inadeguate. Perché non l’hanno portata in ospedale? Perché per giorni l’hanno lasciata in cella, mentre lei non riusciva nemmeno a mangiare e respirava a fatica?”.

La famiglia di Danila ha presentato un esposto, la Procura di Genova ha aperto un’inchiesta, affidata al pm Giuseppe Longo. È stata effettuata l’autopsia, ma dal 22 febbraio “ancora non abbiamo avuto i risultati”, denuncia Laura. Che non si dà pace: “Negli ultimi giorni mia sorella stava male. La sua salute era compromessa. Aveva i piedi gonfi, non riusciva a mangiare. Mi telefonava, la sentivo rantolare. Diceva: quando esco i borsoni devi prenderli tu perché io non ce la faccio. E io mi sentivo impotente. Ho pensato: sta morendo. Così le ho consigliato di non alzarsi dal letto: almeno qualcuno sarebbe venuto a vederla. Non posso pensare che sia morta su una branda, da sola. Almeno - e la voce di Laura si spezza - avremmo potuto salutarla”.

Fonti penitenziarie, contattate da Repubblica, respingono ogni accusa. “Per il risultato dell’autopsia servono tempi lunghi - fanno sapere - dai sessanta ai novanta giorni, a volte sforati per l’immane carico di lavoro. A Pontedecimo ci sono circa 150 detenuti: sono garantite dodici ore di assistenza medica e infermieristica al giorno, come da disposizioni ministeriali. Non è prevista un’assistenza 24 ore su 24”. Quanto al caso specifico, le stesse fonti parlano di “episodio acuto seguito da rianimazione, purtroppo non c’è stato niente da fare. Non mi sembra ci sia discostati dalle corrette pratiche cliniche assistenziali”.

Ma Laura Sasso, con una anziana madre di 91 anni, non si arrende. “Danila aveva problemi di dipendenze e vari problemi di salute, ma sapeva bene di avere assoluta necessità di certe medicine. Aveva bisogno di un farmaco ipertensivo. La cardiologa che l’ha visitata diceva che non le avevano dato un equivalente. Ma le gocce sublinguali che le venivano somministrate sono un salvavita che si dà in casi di emergenza per abbassare di botto la pressione. Questo farmaco - questa l’ipotesi della famiglia - le causava dei problemi: aveva i piedi gonfi, non riusciva a stare in piedi. Non riusciva a mangiare niente di solido, peggiorava di giorno in giorno. E nessuno interveniva”. Le fonti penitenziarie replicano: “Il farmaco aveva le stesse molecole”.

“Il sistema carcere rischia di essere un mondo opaco dove è difficile avere informazioni dall’esterno”, è la dura riflessione di Doriano Saracino, garante ligure delle persone private della libertà, che oggi dalle 10 alle 15 sarà davanti a Palazzo di Giustizia per la maratona oratoria organizzata dalla Camera penale ligure per fermare i suicidi in carcere: “La morte di Danila ha profondamente scosso le persone detenute a Pontedecimo. In Italia quest’anno ci sono già stati 44 suicidi e oltre 50 morti in carcere per altre cause che non vengono comunicate. Cosa accade dentro trapela con difficoltà. Mi è capitato di dover attendere due mesi e mezzo per una cartella clinica”. Laura intanto custodisce gelosamente una lettera che le hanno scritto le detenute il giorno dopo la morte di Danila. Due pagine scritte a mano, raccontano come Danila passasse le giornate a letto, senza mangiare nulla. “Quando hanno chiamato qualcuno, era troppo tardi. Noi, dietro queste maledette sbarre, piangevamo”.