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di Nicola Mirenzi

huffingtonpost.it, 3 febbraio 2023

“Dico le stesse cose di Cospito e Riina sul 41 bis? Non saprei. Cosa dicono Cospito e Riina?”. Gasparri lo accusa di avere le stesse posizioni dell’anarchico e del boss. “Non credo loro pongano rilievi costituzionali. Io sì. E il 41 bis non è costituzionale. Lo Stato non si preoccupi di trattare con chi lo minaccia, ma di come tratta i carcerati”.

Chiamiamo Gherardo Colombo - per trent’anni magistrato, oggi scrittore e animatore della discussione pubblica sulla giustizia (il suo ultimo libro è “Anti Costituzione. Come abbiamo riscritto in peggio i principi della nostra società”) - dopo aver letto un’intervista del senatore Maurizio Gasparri sul Corriere della Sera che, nella polemica intorno alla sorte dell’anarchico Alfredo Cospito recluso al carcere duro, lo cita come riferimento di una preoccupante deriva della sinistra.

Dice Gasparri: “C’è una persona perbene come Gherardo Colombo che si esprime contro il 41 bis, dicendo la stessa cosa che hanno detto Cospito e Totò Riina”. Risponde Colmbo: “Se trova le dichiarazioni di Cospito e Totò Riina sul 41 bis mi richiami e le dirò se sono le stesse cose che dico io”.

Il pensiero di Alfredo Cospito sul 41 bis è facile da individuare, l’ha scritto in uno dei suoi interventi sulle riviste anarchiche. Per se stesso, lo considera una “mordacchia medievale con cui si è deciso di tapparmi la bocca”. Per gli altri, è una “violazione dei diritti umani”.

Quanto a Totò Riina è più difficile, perché Riina non scriveva sui “giornali d’area” e non è detto che avesse una considerazione giuridica da avanzare nei confronti della norma. Tuttavia, durante un’ora d’aria con Alberto Lorusso, registrato, lo si sente affermare che “una sorveglianza deve pigliare massimo tre, quattro anni”, poi il detenuto - si deduce - dovrebbe uscire dall’isolamento. Il 41 bis “è una condanna, nel codice penale italiano, che non si può ingoiare mai nessuno”. Ragion per cui Riina conclude: “Se io verrò fra altri mille anni, io ci vegnu a fare guerra pe’ ‘sta leggi”, gli vengo a fare la guerra per questa legge.

Rieccomi Colombo, questo è quel che dicono Cospito e Riina...

Direi che Totò Riina non pone una questione di compatibilità del 41 bis al dettato costituzionale, come faccio io.

È più d’accordo con Cospito sul 41 bis?

Le sue parole sono diverse da quelle di Riina, perché pongono anche una questione di diritti umani.

Dal suo punto di vista fondata?

Faccio una premessa: è compito delle istituzioni impedire che dal carcere si possa continuare ad essere attivi nelle associazioni, nei gruppi con i quali si commettevano reati da liberi. Però credo che in parecchi non abbiano bene in mente cosa sia precisamente il 41 bis: un regime carcerario nel quale il detenuto è quasi sempre solo, costantemente videosorvegliato, con due ore d’aria al giorno da trascorrere con un gruppo di massimo quattro persone, e il diritto di ricevere una sola visita al mese, attraverso un vetro divisorio.

Viola i diritti umani?

Credo proprio che violi la Costituzione, secondo la quale “la repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, senza escludere alcuno: per l’articolo 13 “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà” per l’articolo 27 “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”.

Però nel nostro ordinamento è stato accolto...

È stato introdotto nel nostro ordinamento una trentina di anni fa, quando su alcuni temi la sensibilità verso la Costituzione era minore. Recentemente la Corte Costituzionale è intervenuta sull’articolo, dichiarandone illegittima la parte che vietava a chi vi era sottoposto di cucinare. Il problema secondo me non riguarda soltanto i limiti previsti dall’articolo, ma anche la circostanza che consenta di aggiungere altre afflittività gratuite nella pratica applicazione

Perché?

Perché è davvero difficile comprendere perché si vieti a un detenuto al 41 bis di affiggere più di una foto in cella, dove non entra nessuno all’infuori del personale del carcere, se quel regime è stato pensato per tagliare i legami tra il recluso e l’organizzazione che è fuori; oppure non avere con sé più che pochi libri. È chiara la natura punitiva. Si vuole far male a chi ha fatto male.

Nel caso di Cospito, il 41 bis è anche sproporzionato rispetto alla sua pericolosità?

Dovrei avere una conoscenza approfondita degli elementi che hanno condotto alla richiesta del 41 bis per rispondere adeguatamente a questa domanda. Però un paradosso è evidente.

Quale?

Cospito è stato rinchiuso al 41 bis per impedirgli di comunicare con contatti esterni ma, nei fatti, le sue posizioni non hanno mai avuto una diffusione così vasta e capillare come ora che sono pubblicate su tutti i giornali. E mentre in precedenza un anarchico avrebbe dovuto sforzarsi di trovare le pubblicazioni in cui Cospito si esprimeva, oggi gli è sufficiente ascoltare il telegiornale.

Come avrebbero potuto impedirgli di comunicare altrimenti?

Se l’obiettivo era vietargli di incitare o comunque agevolare la violenza dei suoi compagni - cosa che lo stato deve certamente impedire, su questo Cospito deve convenire - sarebbe potuta bastare una censura e un controllo della corrispondenza, oltre ai controlli su eventuali colloqui, misure certamente meno afflittive del 41 bis, ma che avrebbero ottenuto il risultato.

Il governo ha detto che lo Stato non può trattare con gli anarchici che lo minacciano...

Ho l’impressione che la questione sia un’altra: cioè, come lo Stato deve trattare l’anarchico che ha nelle sue mani.

Lei è contro la fermezza?

Più semplicemente mi interrogo su quali possono essere gli effetti della linea dura. E vedo due conseguenze, entrambe deprecabili. La prima che Cospito muoia; la seconda che Cospito sia trasformato in un martire in nome del quale chiamare alla vendetta. Cosa che potrebbe aprire la strada proprio a ciò che si intendeva scongiurare: ossia, la violenza.