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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 2 luglio 2024

L’ultimo suicidio è avvenuto nel carcere di Paola. Il governo promette il decreto entro fine luglio, ma le misure sembrano insufficienti. Ancora un suicidio dietro le sbarre. È avvenuto domenica scorsa al carcere di Paola, provincia di Cosenza. Aveva solo 21 anni da poco compiuti, originario della provincia di Salerno. Avrebbe finito di scontare la sua pena nel maggio del 2027, ma ha deciso di farla finita domenica sera verso le 22 impiccandosi nella doccia della sua cella.

Come riferisce Gennarino De Fazio, Segretario generale della UilPa Polizia penitenziario, è il 49esimo detenuto che si toglie la vita dall’inizio dell’anno, cui vanno aggiunti 5 agenti che si sono altresì suicidati, l’ultimo in ordine di tempo questo pomeriggio a Favignana. A nulla sono valsi gli immediati soccorsi della Polizia penitenziaria e dei sanitari. Sovrintendente del Corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa di Reclusione di Favignana. Da domenica mattina se n’erano perse le tracce, nel tardo pomeriggio è stato trovato impiccato in un bosco sull’isola, non lontano dal carcere.

In un’estate segnata da un’emergenza carceraria senza precedenti, il governo italiano sembra navigare a vista, incapace di fornire risposte concrete a una situazione che si fa ogni giorno più drammatica. Mentre il contatore dei suicidi in cella segna già 49 vittime a metà anno - un record tragico che potrebbe superare ogni statistica precedente - la politica si divide su provvedimenti che appaiono sempre più tardivi e inadeguati. Il 17 luglio, la Camera dei Deputati si appresta a votare la proposta di legge Giachetti-Bernardini sulla “liberazione anticipata speciale”. Una misura che prevede l’aumento dei giorni di sconto di pena per buona condotta da 45 a 60 giorni ogni sei mesi. Un provvedimento che potrebbe offrire un immediato sollievo al sovraffollamento cronico che affligge le carceri italiane, dove oltre 14.500 detenuti vivono in condizioni al limite della dignità umana.

La proposta, tuttavia, arriva in aula senza relatore, segno di un consenso politico ancora fragile. Mentre Forza Italia, per bocca del deputato Pietro Pittalis, ha annunciato il proprio sostegno all’iniziativa, altre forze di maggioranza come Fratelli d’Italia mantengono le loro riserve. Il Movimento 5 Stelle, dall’opposizione, non è intenzionato a offrire sponde, trincerato dietro posizioni probabilmente fuorviate da chi parla - a torto - di “indulto mascherato”. Nel frattempo, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, continua a promettere un decreto “entro fine luglio” per affrontare l’emergenza.

Data confermata anche dal sottosegretario Andrea Ostellari e che, stando alle sue anticipazioni, si limiterebbe a istituire un albo delle comunità di accoglienza per i detenuti senza domicilio, a velocizzare le procedure per l’applicazione degli attuali sconti di pena e aumentare le telefonate. Misure che, seppur doverose, appaiono insufficienti di fronte alla gravità della situazione. Il “decreto ghost”, come lo ha sarcasticamente definito Gennarino De Fazio, segretario della Uilpa Penitenziaria, sembra più un miraggio che una realtà concreta. La sensazione diffusa è che il testo sia ancora tutto da scrivere, mentre il tempo stringe e le vite si spezzano dietro le sbarre.

La politica italiana si trova così di fronte a un bivio: agire con decisione per alleviare una situazione insostenibile o continuare a temporeggiare, rischiando di incorrere in nuove condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Mentre il dibattito si trascina stancamente tra Camera e Senato, nelle carceri italiane si consuma una tragedia silenziosa. I 49 suicidi dall’inizio dell’anno non sono solo numeri, ma vite spezzate, famiglie distrutte, un fallimento collettivo del sistema penitenziario e della società tutta. A questo si aggiungono anche i suicidi degli agenti penitenziari stessi. L’urgenza di un intervento non può più essere ignorata. La proposta Giachetti-Bernardini, pur con i suoi limiti, rappresenta al momento l’unica risposta concreta sul tavolo. Il voto del 17 luglio potrebbe segnare un punto di svolta o l’ennesima occasione mancata. In questo scenario, il “decreto carceri” promesso dal governo per fine mese rischia di arrivare troppo tardi e di offrire troppo poco.

La vita nelle carceri italiane non può attendere i tempi della burocrazia e dei compromessi politici. Ogni giorno di ritardo si traduce in sofferenze aggiuntive per detenuti e personale penitenziario, alimentando un circolo vizioso di degrado e disperazione che mina alle fondamenta lo Stato di diritto. La palla ora passa al Parlamento e al governo. La speranza è che la politica italiana sappia finalmente alzare lo sguardo oltre gli interessi di parte e affrontare con coraggio e determinazione una delle più gravi emergenze sociali del nostro tempo. Il conto alla rovescia è iniziato, e non c’è più tempo da perdere.