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La Repubblica, 8 gennaio 2024

Freedom House: gli operatori dell’informazione che vivono in esilio subiscono aggressioni, molestie e deportazioni illegali per mano dei governi da cui sono fuggiti. Un nuovo rapporto pubblicato dall’Organizzazione Non Governativa Freedom House denuncia i regimi autoritari e il loro tentativo di prendere di mira i giornalisti per controllare l’informazione e reprimere il dissenso. Il dossier “A Light That Cannot Be Extinguished: Exiled Journalism and Transnational Repression”, rileva che tra il 2014 e il 2023 sono stati commessi almeno 112 atti di repressione transnazionale contro i giornalisti da 26 governi diversi. Tra i Paesi più persecutori spiccano la Bielorussia, la Cambogia, la Cina, l’Iran, il Pakistan, la Russia, l’Arabia Saudita e la Turchia. Attacchi fisici, deportazioni illegali, detenzioni, molestie digitali e rappresaglie contro i familiari sono alcune delle tattiche più comuni tra quelle utilizzate dai regimi per perseguire i reporter che lavorano lontano dai propri luoghi d’origine.

Gli attacchi ai media indipendenti. Il rapporto di Freedom House si basa su interviste fatte a più di una dozzina di reporter in esilio e rivela come la repressione transnazionale abbia un impatto sulle loro vite e ostacoli in modo significativo il loro lavoro. I giornalisti in esilio vivono con la minaccia di danni fisici, arresti e rapimenti, non possono viaggiare, parlare liberamente con le fonti e raccontare questioni delicate senza rischiare la vita. Le minacce digitali come gli attacchi informatici, la sorveglianza e le molestie, influiscono sulla loro capacità di raggiungere il pubblico. Nel frattempo le campagne diffamatorie organizzate dai governi minano la loro credibilità e le intimidazioni rivolte ai membri delle famiglie rimaste in patria comportano un’ulteriore pressione psicologica.

Le storie. Masih Alinejad è una giornalista iraniana, autrice e attivista per i diritti delle donne che vive negli Stati Uniti dal 2009. A luglio 2021 il Dipartimento di giustizia americano ha denunciato un piano delle autorità iraniane per rapire Masih Alinejad dalla sua casa di Brooklyn e riportarla a Teheran attraverso il Venezuela. La giornalista aveva già precedentemente affrontato altre forme di repressione transazionale. Nel 2018 sua sorella in Iran era stata costretta a denunciare pubblicamente Masih alla tv di stato. A settembre 2019 il fratello, sempre in Iran, era stato arrestato e condannato a otto anni di prigione. Nel 2020 anche la madre della giornalista era stata detenuta e interrogata per qualche giorno. Come molti altri reporter iraniani che vivono all’estero, Alinejad ha raccontato a Freedom House di subire costantemente attacchi informatici. Paul Rusesabagina è un attivista politico meglio conosciuto come l’eroe vero immortalato nel film Hotel Rwanda. Ha lasciato il Rwanda negli anni ‘90 per sfuggire alle minacce di morte e ha trovato protezione prima in Belgio e poi negli Stati Uniti, ma nell’agosto 2020 è stato rapito mentre era a Dubai e riportato in patria. A Kigali è stato condannato a 25 anni di carcere con l’accusa di terrorismo ma è stato rilasciato due anni e mezzo dopo, il 25 marzo 2023.

Gli effetti collaterali delle minacce. Le intimidazioni rivolte ai giornalisti che vivono in esilio comportano una serie di altri problemi che complicano ulteriormente la vita dei reporter e minano la libertà di espressione. Tra le conseguenze più serie vi è quella che riguarda il processo di immigrazione e asilo. Le accuse penali mosse dalle autorità dei paesi di origine, infatti, rendono più difficile la possibilità di ottenere protezione per i giornalisti in fuga, i quali spesso sono accusati di terrorismo, e così si trovano a dover dimostrare di non rappresentare una minaccia per la sicurezza del paese ospitante.

Gli aspetti finanziari. Le pratiche di riduzione del rischio adottate dalle istituzioni finanziarie possono mettere a repentaglio la capacità dei giornalisti di accedere ai servizi economici e finanziari. Un giornalista turco reinsediato negli Stati Uniti e intervistato da Freedom House, per esempio, a causa delle accuse di terrorismo mosse contro di lui dalle autorità turche ha perso l’accesso a diversi conti bancari e così anche la possibilità di chiedere prestiti. Siccome oggi gli aspetti digitali sono tra quelli maggiormente presi di mira, molti media indipendenti che svolgono il proprio lavoro da paesi terzi sono costretti a destinare gran parte delle proprie risorse economiche alla sicurezza digitale per prevenire gli attacchi informatici. In alcuni Paesi come la Russia, la Bielorussia e l’Iran, poi, alcune fonti di entrata derivanti dalle pubblicità e dalla raccolta fondi sono state vietate, le sanzioni internazionali non permettono di monetizzare i contenuti online, e così il lavoro dei media indipendenti diventa impossibile da sostenere. “Le democrazie non possono restare a guardare e lasciare che i giornalisti in esilio si arrangino da soli”, commenta Jessica White, coautrice del rapporto e analista di ricerca per i media e la democrazia presso Freedom House. “Bisogna fare di più per sostenere e proteggere coloro che continuano a sfidare la censura per far luce su questioni chiave che riguardano i loro paesi d’origine”.