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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 7 marzo 2024

L’avvocato Danilo Iacobacci, difensore del 34enne Giosuè Ruotolo, denuncia molte incongruenze nel processo e solo fragilissimi indizi. La stessa Cassazione, nel ricorso straordinario, ammette errori di fatto. Si può essere condannati definitivamente all’ergastolo solo tramite incerti indizi, movente poco definito e con significative prove che lo avrebbero potuto scagionare? Nove anni fa, a Pordenone, si è consumato un atroce duplice delitto. Una coppia di fidanzati, Teresa Costanza di 30 anni e il suo compagno Trifone Ragone di 28 anni, sono stati uccisi con vari colpi alla nuca mentre si trovavano nella propria auto, nel parcheggio del palasport di Pordenone.

Un vero e proprio agguato avvenuto la sera del 17 marzo 2015. Per questo orribile delitto, nel 2021, la Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo nei confronti di Giosuè Ruotolo, ex militare di Somma Vesuviana, oggi 34enne. Tuttavia, per il suo avvocato Danilo Iacobacci, che da un paio d’anni ha iniziato a difendere l’ex militare, risulta difficile dire che l’imputato risulti colpevole del reato al di là di ogni ragionevole dubbio.

Paradossalmente, a sollevare i dubbi, è stato l’ultimo rigetto della Cassazione al ricorso straordinario proposto dall’avvocato, che ha sottolineato gli errori giudiziari: la Corte Suprema, con sentenza depositata nel 2022, pur riconoscendo l’esistenza di errori di fatto nella valutazione dei giudici dei primi processi, ha evidenziato che non ha il potere di andare oltre il perimetro dell’impugnazione straordinaria proposta. In sostanza non può fare una rivalutazione, ma può controllare soltanto la forma. Stesso discorso vale per il ricorso rigettato dalla Corte Europea di Strasburgo.

Dagli atti emergono numerosi errori, gettando così un dubbio sostanziale sulla solidità della condanna. L’assenza di tracce ematiche delle vittime nel veicolo o sugli indumenti del presunto assassino, insieme alla mancanza di impronte di Ruotolo sull’arma del delitto, una vecchia Beretta calibro 7.65, ritrovata mesi dopo in un laghetto del parco San Valentino, sollevano interrogativi cruciali sulla solidità dell’accusa.

Basti solo pensare, che le stesse indagini dell’accusa avevano smentito la possibilità che il killer non avesse addosso tracce del delitto, visto l’enorme spargimento di sangue: quindi come era possibile che su Ruotolo stesso, sui suoi indumenti, ma anche all’interno del veicolo o nell’abitazione, non fosse stata trovata alcuna traccia ematica delle vittime? Ricordiamo che i colpi erano stati esplosi tra i 25/40 cm di distanza dalle vittime: la scientifica stessa è quindi arrivata a concludere che l’assassino si era copiosamente macchiato di sangue. Ma ulteriori dubbi emergono dall’analisi del Dna rinvenuto su uno dei bossoli trovati nell’auto della coppia: non appartiene a Ruotolo e risulta tuttora di provenienza ignota.

Tra le questioni sollevate dalla difesa, emerge un dettaglio cruciale: l’incertezza sulla presenza dell’auto di Ruotolo nel luogo del tragico evento. L’auto avvistata in fuga subito dopo gli spari non corrisponde al modello di Ruotolo, bensì a un’Audi Sportback, mentre l’ex militare possedeva un’A3 grigia. A complicare ulteriormente il quadro, la difesa del 34enne solleva il mancato vaglio delle piste alternative, alcune delle quali supportate da testimonianze, con particolare attenzione a quella di Lorenzo Kari. Quest’ultimo ha sostenuto di essere stato contattato nel carcere di San Vittore tramite un detenuto da Giovanni Bonomelli, implicato nell’indagine sull’omicidio di Tiziano Stabile a Brescia, il quale, sempre stando al racconto di Kari, gli avrebbe commissionato l’omicidio di Teresa Costanza e Trifone Ragone, in quanto a suo dire testimoni scomodi.

Kari ha raccontato di essere stato istruito da un certo Mario, su incarico di Bonomelli del quale era collaboratore, per commettere il delitto al quale però si sottrasse. Il motivo dietro il duplice omicidio era il timore che Teresa potesse rivelare informazioni compromettenti su Bonomelli, inclusi altri fatti criminali a Brescia in cui era coinvolto. Mario è stato incaricato di accompagnare Kari nei sopralluoghi per mostrargli le vittime e il luogo del delitto. Questi sopralluoghi hanno riguardato le palestre e le due vittime uccise, e l’omicidio è avvenuto esattamente come è stato anticipato a Kari.

Come spiega il legale di Ruotolo, gli inquirenti non intesero seguire la pista investigativa che suggeriva Kari, ossia di munirlo di una microspia e proseguire nell’indagine. Eppure, sottolinea sempre l’avvocato Danilo Iacobacci, il testimone, d’altra parte, non aveva ragione di mentire, visto che è un malato terminale e non aveva bisogno di collaborare per ottenere benefici penitenziari. Si aggiunge anche un’altra pista, quella che la riconduce nell’ambito della criminalità organizzata. Maurizio Ferraiuolo è un valido collaboratore di giustizia e ha spiegato chi fossero i reali autori e le cause dell’omicidio, indicando perfettamente l’arma usata e le modalità dell’omicidio per come le aveva in anticipo apprese dai compagni di cella Danny Esposito e Antonio De Carlo.

Eppure la Corte, con tanto di sigillo dalla Cassazione, ha condannato Ruotolo su unico indizio: ovvero che la sua vettura fosse presente nel parcheggio al momento dell’omicidio, e ciò sulla base di un solo testimone, tale Protani, che aveva detto di aver visto una Audi Sportback non lontano dalla coppia uccisa (a differenza di tutti gli altri testimoni che lo smentivano). La Corte - non tenne conto del fatto che Ruotolo non aveva una Audi Sportback ma una Audi A3, e che diverse persone quella sera avevano una Audi A3 come quella di Ruotolo ed erano parcheggiate nel medesimo parcheggio o comunque vi erano passate nella medesima fascia oraria.

La Corte non tenne conto neppure del fatto che lo stesso Protani aveva una Audi A3, oltre a molti altri quella sera, e che aveva visto comunque alla guida una donna di mezza età (e non un ragazzo), salvo poi nel corso del dibattimento cercare di smussare il proprio racconto sostenendo che fosse pure possibile che fosse guidata da un uomo col cappuccio. Non solo. Il testimone chiave stesso, inizialmente, era stato uno dei sospettati del delitto, tanto che, in una intercettazione telefonica, aveva parlato in termini poco chiari di una pistola.

Resta il fatto che il ragazzo si è visto condannare all’ergastolo nonostante abbia chiarito il motivo per cui quella sera fosse andato nella propria palestra e, trovandola piena, fosse poi andato a correre al Parco San Valentino come faceva abitualmente, particolare confermato da numerosi testimoni. E il movente? È importante ricordare che Ruotolo era collegato alla vittima Ragone sia come suo collega che come ex coinquilino. Secondo i giudici alcune chat lo legavano alla vita privata delle vittime e a un forte litigio con Ragone, che lo aveva minacciato di denunciarlo dopo aver scoperto dei messaggi anonimi inviati alla fidanzata.

Secondo i giudici, Ruotolo uccise per odio e per timore che certe rivelazioni potessero compromettere la sua carriera, nonostante avesse già superato il concorso. Tuttavia, la stessa corte d’Appello ha dichiarato che il movente rimane oscuro. L’unica speranza che resta al ragazzo è quella della revisione, ma l’avvocato Iacobacci alza le mani, poiché senza nuove prove non ci sono i presupposti per richiederla. Inevitabilmente, ci si trova a riflettere sul caso di Beniamino Zuncheddu, che dopo 32 anni di ergastolo è riuscito ad ottenere la revisione del processo grazie alla determinazione dell’avvocato Mauro Trogu e soprattutto all’indagine condotta dall’ex procuratrice generale di Cagliari Francesca Nanni. Ma si può davvero parlare di giustizia?