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di Giuseppe Salvaggiulo

La Stampa, 30 aprile 2022

Il procuratore generale della Cassazione: “Il nostro lavoro perde fascino ma non dev’essere una missione. Bisogna collaborare subito con l’Ucraina e la Corte internazionale nelle indagini sui crimini di guerra”.

Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione, la Fnsi, sindacato dei giornalisti, l’ha incontrata dopo la pubblicazione delle linee guida sulla presunzione d’innocenza. Condivide l’allarme sull’informazione?

“La preoccupazione è in effetti diffusa. La legge ha presupposti giusti, ma pone problemi non da poco. Ad esempio, regolamenta solo pm e polizia giudiziaria ma non le parti private, che non hanno vincoli di correttezza, e nemmeno come operino i giornalisti. Il documento della Procura generale, che si può leggere sul nostro sito, cerca di “governare” questi problemi”.

Alcuni hanno parlato di legge bavaglio, liberticida…

“Non credo che siano questi i termini in cui si può discuterne. Certo, nella sua applicazione occorre uno sguardo attento ai molti interessi in giuoco, primo tra tutti l’informazione, che deve essere piena e completa. Comunicare non è un diritto del magistrato, ma un dovere dell’ufficio da esercitare nel rispetto della dignità delle persone, soprattutto degli imputati. Il processo mediatico invece è inaccettabile e inquina quello giudiziario”.

I magistrati si chiuderanno nel silenzio per timore di sanzioni disciplinari?

“Si teme, in verità non solo dai magistrati, che il rischio disciplinare possa ingessare la comunicazione. Capisco, e infatti la procura generale aveva proposto una norma più precisa, tarata sulla lesione oggettiva della dignità dell’imputato, sul principio costituzionale di necessaria offensività della condotta punita. Bisognerà evitare sanzioni per violazioni meramente formali. Ne riparleremo quando la legge di riforma sarà approvata. Anche le linee guida rinviano a tale momento”.

In generale, sta aumentando il controllo politico sulla magistratura?

“Vi è preoccupazione per gli accertamenti sulla “produttività” e sul grado di conferma delle decisioni. Su questo si dovrà essere molto attenti anche nella fase dell’attuazione, perché non credo che la riforma punti a un controllo dei provvedimenti, magari su base quantitativa. Sarebbe un grave errore. È evidente che occorre rassicurare chi compie scelte difficili dalla preoccupazione di un controllo troppo occhiuto e che addirittura finisce nel merito della decisione. Vi sarebbe davvero il rischio della lesione dell’autonomia del magistrato, che non è un suo privilegio, ma una garanzia per tutti. Del tutto diversa è la conoscenza degli aspetti organizzativi del lavoro giudiziario. Trovo positivo che finalmente si affacci anche nell’organizzazione della giustizia l’idea che è necessario conoscere per decidere. Però ciò deve avvenire innanzitutto sulla base di dati attendibili. Su questo la legge di riforma fa un passo avanti importante. La giustizia italiana è molto indietro nella conoscenza dei dati. Questo è un problema, perché non mette il decisore, sia esso il legislatore o il magistrato quando opera sull’organizzazione dell’ufficio, nelle condizioni di valutare l’impatto delle scelte effettuate. L’organizzazione di un ufficio comporta molte valutazioni e avere una corretta conoscenza dell’ufficio e dei flussi dei procedimenti è di grande importanza”.

Qual è un esempio di questa arretratezza?

“Le statistiche sulle assoluzioni, che consideravano tali anche istituti come l’oblazione, la remissione di querela, la messa alla prova dell’imputato, che assoluzioni non sono e quindi non possono essere considerati casi di cattivo esercizio dell’azione penale, come invece si è fatto. Il ministero ha riesaminato il dato e ha corretto quello originariamente fornito e di questo abbiamo dato atto nelle relazioni del 2021 e di quest’anno. Anche l’Eurispes è giunto alle stesse conclusioni, nella ricerca condotta per conto delle Camere Penali”.

Come mai la magistratura è in subbuglio per una riforma invocata da tempo e che ha un largo consenso parlamentare?

“La preoccupazione della magistratura dipende da due fattori. La discussione pubblica è stata caratterizzata da forti polemiche contro la magistratura, quasi che la riforma potesse essere occasione per regolare conti. Inoltre il susseguirsi di proposte di emendamenti, anche di segno opposto e nella stessa maggioranza, ha reso difficile cogliere quale fosse la direzione reale verso cui si andava. Alla fine, credo, non vi è stato molto tempo per valutare l’impatto di alcune modifiche. Ciò genera preoccupazione, anche perché il diavolo si nasconde nei dettagli”.

Per esempio nel fascicolo del magistrato, che taluni definiscono schedatura?

“Non credo che questa definizione sia corretta. Premetto che la valutazione dei magistrati è già molto migliorata rispetto al passato. Quando sono entrato in magistratura, le valutazioni erano stereotipate, con formule ridicole tipo “si distingue per il tratto signorile”. Ora i pareri sono costruiti su criteri oggettivi dell’attività svolta. Inoltre essi vengono utilizzati in molte occasioni, non solo per le valutazioni di professionalità, come nei concorsi interni o per gli incarichi direttivi”.

Ma solo pochi vengono valutati negativamente…

“L’obiettivo comune è fare meglio, ma il rischio è basare la valutazione del magistrato non su come svolge il suo lavoro, ma sul risultato in sé. Criterio non solo difficile da accertare in concreto, ma con effetti paradossali”.

In che senso?

“Il giudice non ricostruisce i fatti del processo in vitro, nemmeno l’intelligenza artificiale ci riesce. Il processo non è un esperimento in laboratorio, che conferma l’ipotesi, oppure la smentisce. Il diritto è evoluzione, talvolta le decisioni più coraggiose sono inizialmente sconfessate dalle corti superiori. Tanto basta per dire che non sei un buon magistrato? Con questo parametro, solo i magistrati delle corti superiori sarebbero infallibili. Il percorso per la valutazione, disegnato dalla riforma in corso di approvazione, è molto complesso e prevede il concorso di molti attori. Non credo che essa possa portare a una sorta di giudizio statistico, tanto meno basato solo sulle difformità, sugli esiti. Vedremo il testo definitivo e se vi saranno spazi per interpretazioni che non facciano sentire ancora più solo il magistrato nella responsabilità delle gravi decisioni che deve prendere ogni giorno”.

Si discute di sciopero: che ne pensa?

“Non entro nel merito, è una decisione che spetta all’Anm”.

Qualcuno - politici, giuristi - mette in discussione la legittimità dello sciopero per chi si proclama potere dello Stato…

“Credo che la questione vada posta sul piano dell’opportunità, non della legittimità. È invece comunque molto importante che i magistrati facciano sentire la loro voce, rendano chiare le loro preoccupazioni. La magistratura deve essere una componente centrale del dibattito pubblico sulla giustizia”.

C’è chi dice che è una riforma contro le correnti, chi a favore. Lei è stato molto impegnato nell’associazionismo giudiziario, che ne pensa?

“L’obbiettivo della riforma è certamente quello di ridurre il peso delle correnti all’interno del CSM. Lo fa con molte misure, che nascono dall’esperienza di questi anni. Bisogna vedere se saranno efficaci. Ricordo che anche la modifica della legge elettorale agli inizi degli anni 2000 aveva questo obiettivo. In realtà ha finito per rafforzare il peso delle segreterie delle correnti. L’attuale riforma propone un meccanismo misto, che prevede anche un recupero di una quota proporzionale. È certamente una soluzione di equilibrio. Le cose sono complesse. Il dibattito nella magistratura è legato al rapporto con la società. Le correnti, anche in passato, hanno avuto un doppio volto: elemento di crescita culturale e di rappresentanza dei diversi orientamenti ideali, presenti tra i magistrati come per tutti i cittadini, ma anche strumento di governo con connotati corporativi. Bisogna riuscire a mantenere il primo, che è fattore importante di indipendenza”.

Cosa è cambiato, allora, per arrivare alla crisi attuale?

“Certamente si pagano errori del passato. Gli straordinari successi contro terrorismo e mafia, senza stracciare le garanzie fondamentali, hanno fatto crescere generazioni di magistrati appassionati. Il supporto dell’opinione pubblica è stato grande ma esso può essere pericoloso: i magistrati devono avere la fiducia dei cittadini ma non cercarne il consenso, anzi a volte essi devono prendere decisioni sgradite alla maggioranza; essi tutelano gli individui anche contro l’opinione della maggioranza. Il clima di forte conflitto da parte di settori della politica, soprattutto nei processi sulla pubblica amministrazione, ha condizionato anche lo sguardo critico al nostro interno. E la scelta del criterio del merito nell’evoluzione della carriera ha scatenato una competizione mai vista”.

Bisogna tornare indietro, alla prevalenza dell’anzianità?

“Un dirigente non si improvvisa, ma la spinta a costruire carriere altera i rapporti interni alla magistratura, disegnati dalla Costituzione. È un equilibrio difficile, che la riforma prova a ridefinire. Non vorrei che si perdesse ciò che si è guadagnato: gli uffici sono più efficienti e organizzati di un tempo, non c’è paragone. Vedremo se la riforma riuscirà a bilanciare queste due diverse esigenze”.

Come mai nei concorsi di magistratura gli idonei sono così pochi?

“La magistratura ha perso appeal. Forse ciò che noi offriamo ai giovani non è competitivo con altre professioni, i migliori si rivolgono altrove. Si entra ormai molto tardi, nel frattempo i giovani hanno trovato strade diverse, e poi ciò che era appetibile a 24 anni non lo è più a 34. Su questo la riforma opera con determinazione, prevedendo nuovamente il concorso subito dopo la laurea. Credo sia una scelta molto positiva, anche per ridurre il peso del censo nelle possibilità di accesso”.

Manca la passione?

“In altri tempi c’era una spinta emotiva data dai grandi processi. Non dobbiamo averne rimpianto, perché quella emergenza continua fu devastante per il Paese. La magistratura in quel periodo esercitava forte attrazione. Si facevano le cose per passione, non per accumulare medagliette. Non è detto che sia solo un male: caricare questo lavoro di un’idea messianica può far dimenticare i limiti”.

Quali?

“Siamo giudici, non legislatori supplenti; applichiamo il diritto e non l’etica”.

Anche la percezione della magistratura è cambiata?

“Il nostro osservatorio disciplinare fa capire come cambia il rapporto tra magistratura e società. La Procura generale è sommersa di esposti e denunce di cittadini contro magistrati, soprattutto nel settore civile per questioni attinenti famiglia e minori, fallimenti, esecuzioni immobiliari. La punizione del giudice viene vista come un quarto grado di giudizio”.

Non sarà anche colpa dell’incertezza delle decisioni giudiziarie? Ne ha parlato anche il presidente Mattarella.

“Non c’è dubbio, ma non è solo patologia. Il giudice decide non sulla lettera della legge, ma con interpretazioni orientate da molte fonti, anche sovranazionali. Non a caso la certezza oggi viene declinata come prevedibilità: il cittadino deve sapere come regolarsi, come prendere decisioni. E ciò non solo nel settore penale. È molto importante la professionalità del magistrato. Per evitare esondazioni, serve consapevolezza del limite da parte di chi incide sulla vita delle persone. La decisione può anche essere in contrasto con i precedenti, ma la motivazione deve essere molto attenta e dare conto delle ragioni del mutamento di indirizzo. Torniamo così al tema di cui abbiamo prima discusso: è utile comprendere se gli orientamenti cambino e come i magistrati giudichino, ma occorre che ciò resti nell’alveo dell’assoluto rispetto della decisione del singolo giudice o pubblico ministero”.

Che si può fare?

“Bisogna operare per la prevedibilità delle decisioni. In Cassazione, attraverso il precedente, certo. Ma è fondamentale che la prevedibilità sia un valore perseguito sin dall’esercizio dell’azione. La Procura generale opera in diverse materie - responsabilità medica sul Covid, crisi aziendali, delitti ambientali - per garantire l’uniforme esercizio dell’azione penale. Non direttive gerarchiche, ma linee guida: i procuratori generali non sono superiori gerarchici e non hanno potere di interferire con le decisioni dei procuratori. Possono però svolgere un importante ruolo di orientamento, basato sulla condivisione. In questo momento si sta operando per avere un approccio omogeneo per contrastare le enormi opportunità di profitti illeciti derivanti dalla predazione delle risorse del Pnrr, imparando da quanto accaduto sul superbonus e sul mercato dei crediti di imposta”.

Quale lezione?

“Che si tratta dei settori di elezione per una mafia camaleontica che ricerca potere e profitti, dopo aver abbandonato la stagione degli attentati non per raffinata strategia, ma perché ha subìto dallo Stato colpi pesantissimi”.

La magistratura italiana può fare qualcosa sui crimini di guerra in Ucraina?

“L’Italia non riconosce la propria giurisdizione come universale per i crimini contro l’umanità. Però non solo può, ma deve collaborare con le autorità ucraine e con la Corte Penale Internazionale”.

Come?

“Innanzitutto dobbiamo essere pronti a rispondere alle richieste di assistenza che potrebbero venire dalla Corte Penale Internazionale, che è già all’opera. Nel nostro Paese vi sono molti profughi, che potrebbero avere informazioni utili. Vi sono poi magistrati che hanno una notevole esperienza nel settore, per avere fatto parte a vario titolo di Corti internazionali. E un’esperienza preziosa, anche a livello di formazione.

Lei crede che sarà un’attività che produrrà processi giusti ed efficaci, visto che gran parte delle prove provengono da una parte in guerra, che si difende da un’aggressione?

“È un problema comune agli accertamenti che riguardano i grandi crimini commessi in contesto di conflitti armati o di crimini collettivi. Proprio per questo è importante che, per quanto possibile, le prove vengano raccolte al più presto e in forme utili al processo, cioè con garanzia di imparzialità. Sono processi difficili, ma che restano all’interno della rule of law. Nemmeno all’oppresso è consentito di violare i diritti fondamentali. Anche questi dovranno essere processi giusti”.

Ne parlerete nella prossima conferenza dei procuratori a Palermo?

“La conferenza è voluta dalla presidenza italiana del Consiglio d’Europa e riunisce i vertici del pm dei Paesi del Consiglio, senza la Russia, che ne è stata espulsa. Verranno 46 paesi, tra paesi membri e osservatori. Era stata organizzata prima della guerra, ma il tema è quantomai legato: capire qual è la base comune minima nel ruolo del pubblico ministero in ordinamenti molto diversi, per consentire la collaborazione nella difesa dei diritti fondamentali della persona, al riparo da interferenze politiche. Una questione che si rivelerà decisiva anche sui crimini di guerra. Si deve smentire l’antico detto che quando le armi parlano, il diritto tace”.