sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Grazia Longo

La Stampa, 3 ottobre 2023

Risse e violenza in crescita tra i ragazzi. Il rapporto del ministero dell’Interno: “Fenomeni sempre più preoccupanti e i social amplificano le efferatezze”. Gioventù rissosa. È in costante aumento il numero di giovanissimi che si organizzano in baby gang per promuovere incontri a suon di botte. L’allarme arriva dalla Direzione di analisi criminale interforze del ministero dell’Interno. Il dirigente superiore della polizia di Stato che la guida, Stefano Delfini, osserva: “La crescita delle risse tra i minorenni è un fenomeno sempre più preoccupante da non sottovalutare. Tra le cause che hanno determinato l’intensificarsi di questi episodi c’è anche il Covid, che ha impedito la partecipazione dei ragazzi alle attività sportive e ha accentuato il bisogno di “sfogarsi” in vere e proprie lotte tra bande organizzate”.

L’attività delle baby gang, che comprende anche altri reati, dai furti al bullismo all’estorsione, è stata monitorata da un team di esperti di polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria della Direzione analisi criminale interforze e dall’Università Cattolica di Milano in collaborazione con il ministero dell’Interno e il dipartimento di giustizia minorile del ministero della Giustizia.

Emerge così che tra i minori in osservazione da parte degli Ussm (Uffici di servizio sociale per minorenni) il 94 % è colpevole di risse, il 77% di furti e rapine, il 64% di bullismo, il 45 % di disturbo alla quiete pubblica. Non solo, il 67% dei ragazzi compie atti vandalici, il 62% spaccia sostanze stupefacenti e il 46% è dedito alle estorsioni. In alcune città d’Italia, inoltre, proliferano baby gang multietniche. Soprattutto a Milano, Torino e Genova, centri accomunati dalla presenza di minori stranieri di seconda generazione che, come sottolinea Delfini, “rifiutano lo spirito di sacrificio e abnegazione nel lavoro dei propri genitori e considerano modelli di vita lussuosa come risultati da raggiungere con immediatezza a discapito del rispetto della legge”.

Ad accentuare e amplificare i reati dei giovanissimi sono i social media perché “sulla rete le azioni commesse, a partire dalle risse, corrono più veloci e contribuiscono alla crescita di una maggiore efferatezza dei singoli eventi. Online vengono pubblicate aggressioni scaturite spesso da atteggiamenti innocui come uno sguardo di troppo o una sigaretta negata. Per non parlare poi dell’incremento di bullismo e “revenge porn” (forme di vendetta online a sfondo sessuale, ndr)”.

Anche il capitolo della violenza sessuale ha le sue spine: il report segnala che un terzo delle vittime sono minorenni e il 67% dei violentatori ha un’età compresa tra i 14 e i 17 anni.

E il direttore analisi criminale interforze precisa che “tra gli elementi più preoccupanti c’è l’indifferenza dei minori nei confronti della violenza sessuale commessa. Basti pensare al recente caso di Palermo in cui uno dei colpevoli ha dichiarato “Mi sono rovinato la vita”, senza esprimere alcun pentimento verso la vittima”.

La stessa spregiudicatezza viene riservata anche alle risse che avvengono il più delle volte “con una violenza feroce, gratuita, senza senso. Quello che conta è imporsi sulla baby gang rivale per imporsi sul controllo del territorio ed emulare modelli sbagliati. La vana gloria della vittoria nelle risse viene poi accentuata dalla sua divulgazione sui social media”.

Un’altra caratteristica evidenziata dallo studio riguarda le quattro diverse tipologie di gang giovanili con tratti differenti e una diversa distribuzione sul territorio nazionale. “Ci sono gruppi privi di una struttura definita - conferma Delfini - prevalentemente dediti ad attività violente presenti in tutte le macroaree del Paese, altri che si ispirano o hanno legami con organizzazioni criminali e che agiscono prevalentemente al Sud. A queste si aggiungono le bande multietniche del Nord ed altre che hanno una struttura definita ma non hanno riferimenti ad altre organizzazioni”.

Spesso il comune denominatore è determinato da fattori come i rapporti problematici con le famiglie, con i coetanei e il sistema scolastico, difficoltà relazionali o di inclusione nel tessuto sociale e un contesto di disagio sociale ed economico. “Fondamentale è quindi la prevenzione - conclude Delfini - perché ovviamente l’attività di repressione, soprattutto quando si tratta come in questo caso di minori, non è sufficiente. Occorre la promozione di iniziative didattiche, sociali, culturali, sportive e religiose, oltre a un’eccezione alla legalità, rivolte ai minorenni in un’ottica di indirizzo verso forme di impegno che esercitino una forza attrattiva, disinnescando contestualmente l’avvio di percorsi criminogeni”.