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di Simonetta Fiori

La Repubblica, 19 giugno 2022

Il presidente della Corte Costituzionale spiega perché la Consulta ha deciso di organizzare un concerto che celebra i principi del diritto contro quelli della violenza: “La prevaricazione non esiste solo in Ucraina”.

Il concerto si intitola “Il sangue e la parola”. E a promuoverlo, nella piazza del Quirinale e alla presenza del presidente Mattarella, è la Corte Costituzionale. Una cerimonia densa di significati civili, resi ancora più espliciti dalla cantata scritta da Nicola Piovani che fonde in un’unica architettura musicale le Eumenidi e la carta costituzionale, la tragedia che celebra l’avvento della civiltà del diritto e l’opera di pace dei nostri costituenti. In piazza risuonerà reiterato l’articolo 11 della Costituzione, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e di risoluzione delle controversie”, ed è inevitabile che il pensiero oggi corra al cuore insanguinato dell’Europa.

“Il concerto è stato pensato prima dell’aggressione ucraina”, racconta il presidente Giuliano Amato nel suo studio della Consulta. “E certo quel passaggio della Costituzione oggi provoca una profonda emozione. Ma è solo un aspetto del messaggio che vorremmo trasmettere con la potenza della musica: la guerra è la forma estrema della prevaricazione. Ma la prevaricazione esiste anche in tempo di pace: essa nasce dall’imposizione sulle ragioni degli altri di verità assolute e unilaterali”.

Presidente Amato, partiamo dalla singolarità dell’iniziativa. Da quale urgenza civile nasce il concerto?

“È un progetto coltivato da tempo, con l’intento di dare un’ulteriore evidenza alla missione che la Carta Costituzionale ci ha affidato: garantirne i principi fondamentali. Ma il principio dei principi è la difesa della democrazia fondata sull’equilibrio delle diverse esigenze in gioco. Nulla è assoluto nella Costituzione, ma ci sono valori e principi spesso confliggenti tra loro che vengono tenuti insieme in un giusto equilibrio”.

Lei vede venire meno questo equilibrio tra visioni divergenti?

“In questi anni nelle nostre democrazie abbiamo assistito all’emergere di movimenti che facendo leva sui malumori crescenti, sui risentimenti e sulle diseguaglianze accresciute hanno imboccato la strada indicata da Carl Schmidt: il mio avversario è un nemico e le mie sono le uniche ragioni possibili. Sono gli stessi che magari celebrano i costituenti, ma senza comprenderne il lavoro straordinario: se c’erano persone portatrici di verità opposte erano proprio loro! Eppure riuscirono a trovare un accordo”.

La cantata trae ispirazione dalle “Eumenidi”, la tragedia che celebra la nascita della civiltà del diritto contro la legge della vendetta...

“Il dilemma che attraversa l’opera di Eschilo è se sangue debba chiamare altro sangue, se sia giusto uccidere Oreste che aveva ucciso sua madre Clitennestra, colpevole a sua volta dell’assassinio del marito Agamennone. Alla fine Atena spezza la catena della vendetta per imporre il giudizio di un tribunale: così la parola trionfa sulla furia cieca della violenza. E Piovani mette in relazione questa tematica con l’articolo 11 della Costituzione: l’Italia ripudia la guerra. A cento giorni dall’invasione dell’Ucraina, l’evocazione di quel passaggio colpirà il sentimento di chi ascolta”.

Il concerto si può leggere anche come un invito alla pace?

“Io direi meglio: un invito alla ragione. Volere la pace durante un’aggressione in corso non può significare che, purché finisca la guerra, l’aggressore è libero di fare ciò che vuole: questo rappresenterebbe il trionfo della prevaricazione. La guerra non deve durare un tempo infinito e chi ha compiti di responsabilità deve trovare il modo e i tempi della sua conclusione. Ma gli amanti della pace non possono trasformarsi in fautori della prevaricazione”.

Non passerà inosservata la reiterazione dell’articolo 11 - l’Italia ripudia la guerra - cantata nella piazza del Quirinale. Lei ha difeso sul piano costituzionale l’invio delle armi all’Ucraina in nome della solidarietà...

“C’è chi sostiene che la Costituzione autorizzi a difendere soltanto noi stessi, ma allora i fautori di questa posizione dovrebbero ritenere incostituzionali l’articolo 5 del trattato della Nato e l’articolo 42 del trattato dell’Unione europea che prevedono l’obbligo di solidarietà verso paesi aggrediti: nessuno però s’è spinto ad affermare una cosa del genere. L’obiezione potrebbe essere che l’Ucraina non è tutelata da questo nostro obbligo in quanto non fa parte né della Nato né finora dell’Unione Europea. E allora io pongo una questione di coscienza: se è calpestata la dignità di qualcuno che è fuori dai miei confini e fuori dai trattati, la mia solidarietà non arriva a farsi carico della sua dignità? E della sua sopravvivenza?”.

Da Eschilo ai Costituenti, la cantata sembra tessere il filo che unisce due rivoluzioni: quella ateniese e la rivoluzione sancita dalla Carta...

“Non v’è dubbio che si trattò di due rivoluzioni. Eva Cantarella colloca nel 621 a.C, con l’istituzione del primo Tribunale di Atene, la nascita della civiltà del diritto che è alla base della democrazia: il passaggio celebrato appunto dalle Eumenidi. E fu una rivoluzione anche quella realizzata dai costituenti, con il ripudio della guerra da parte nostra e dei paesi che avevano insanguinato l’Europa. Nella cantata di Piovani si fa riferimento ai lavori preparatori della Carta, in particolare alle riflessioni di Ugo Damiani e di Leo Valiani che arricchiscono il significato dell’articolo 11, andando oltre il semplice ripudio: entrambi sostengono infatti la necessità che la risoluzione dei conflitti possa essere affidata ad armi diverse da quelle belliche. A differenza della costituzione tedesca, noi teniamo all’interno dello stesso articolo, l’11, il nesso storico ed emotivo tra la fine della guerra e la costruzione di un’Europa unita finalizzata alla pace”.

Lei prima diceva che la sopraffazione esiste anche al di fuori delle guerre...

“La guerra è una sua estremizzazione, ma anche in tempo di pace assistiamo al trionfo di politiche unilaterali che in nome di una verità assoluta possono uccidere. Prendiamo il tema dell’interruzione di gravidanza. Ho letto sul New York Times la sconvolgente testimonianza di una donna polacca che poche ore dopo sarebbe morta uccisa da un’infezione procurata dal feto: nel suo paese l’aborto è vietato in ogni caso. Quel che ci deve preoccupare è il diffondersi di ferree leggi antiabortiste che, in nome dei diritti del nascituro, calpestano quelli della madre. In America, un’attesa sentenza della Corte suprema potrebbe rendere questo rischio molto concreto”.

Eschilo e i Costituenti ci mettono in guardia dalle verità assolute e anche dalla furia della vendetta. Circola ancora nella società italiana un’idea della giustizia come vendetta?

“Sì. Quante volte osserviamo con dolore le vittime di un reato che se la pena inflitta al colpevole non è altissima pensano di non aver avuto giustizia? E poi si costituiscono parte civile per avere dei soldi. Ho sempre pensato, soprattutto quando i miei figli erano piccoli, che non mi sarei mai avvalso di questa possibilità: se qualcuno mi uccide il figlio, quale cifra potrà mai risarcirmi? È evidente che non può esserci giustizia se il delitto non viene punito. Ma chi l’ha commesso non può diventare un mostro da chiudere in gabbia per sempre”.

Alla fine della tragedia di Eschilo, Oreste non viene giustiziato. E da cagne rabbiose le Erinni si trasformano in Eumenidi, forze benefiche...

“Così finisce anche la cantata di Piovani che è un invito a respirare, con un sentimento di ritrovata serenità nel riconoscimento da parte degli uni delle ragioni degli altri. Questo invito è rivolto a tutti gli italiani: dobbiamo superare le divisioni per ritrovare l’unità non nella prevaricazione ma nell’ascolto reciproco. Su questo equilibrio - è bene ricordarselo - si regge la democrazia”.