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di Giovanni Bianconi e Ilaria Sacchettoni

Corriere della Sera, 12 aprile 2022

Impossibile notificare gli atti agli imputati individuati dalla Procura di Roma quali responsabili dell’omicidio. La famiglia di Giulio Regeni: “Una presa in giro, intervenga Draghi”.

Per l’Egitto il procedimento contro i quattro ufficiali della National Security accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni è già in archivio, e non si può riaprire. Caso chiuso. Per questo le autorità del Cairo non hanno risposto (e non risponderanno) alle richieste italiane di conoscere i loro indirizzi, necessari per notificare gli atti e poterli processare davanti alla Corte d’Assise di Roma. La Procura generale della Repubblica araba ha già valutato le imputazioni e le prove a loro carico, e li considera innocenti. Dunque l’assistenza giudiziaria sollecitata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, pronta a un incontro con il suo omologo egiziano, non ha avuto (e non avrà) alcun esito.

La lettera - A questa amara conclusione è giunto l’ultimo tentativo del giudice dell’udienza preliminare Roberto Ranazzi, dopo la lettera ricevuta dal capo del Dipartimento degli affari di giustizia del ministero di via Arenula, Nicola Russo: cinque pagine di risposta alla richiesta di farsi parte attiva con il governo del Cairo per cercare di sbloccare la situazione a livello politico, e capire se ci siano possibilità di cooperazione. Il risultato è che, al momento, non ce ne sono. Il giudice ha rinviato l’udienza di altri 6 mesi, al 10 ottobre, mentre la famiglia di Giulio chiede che la pressione politica salga di livello.

L’indignazione della famiglia - “Siamo indignati dalla risposta della Procura del regime di Al Sisi che continua a farsi beffe delle nostre istituzioni e del nostro sistema di diritto”, commenta l’avvocata Alessandra Ballerini, che assiste i genitori e la sorella di Giulio. “Chiediamo che il presidente Draghi, condividendo la nostra indignazione, pretenda, senza se e senza ma, le elezioni di domicilio dei 4 imputati. Oggi è stata un’ennesima presa in giro”. Il capo del Governo valuterà il da farsi, ma la replica egiziana alle mosse della ministra della Giustizia non lascia presagire nulla di costruttivo. “La condizione fermamente posta dalla ministra Cartabia per recarsi al Cairo e interloquire con il suo omologo Omar Marwan - scrive Russo - è che nel corso dell’incontro si affronti il caso Regeni. Ad oggi, nonostante i ripetuti passi svolti dal nostro ambasciatore al Cairo, il ministro della Giustizia egiziano non ha ancora fornito un riscontro alla lettera della ministra Cartabia”.

La competenza - La missiva era partita da Roma il 20 gennaio. Difficile quindi che sul piano politico possano esserci passi avanti. A livello tecnico, invece, un dialogo c’è stato. Una delegazione guidata proprio da Russo è andata al Cairo un mese fa, ma s’è sentita dire che in assenza di accordi bilaterali tra i governi, la cooperazione giudiziaria internazionale è competenza esclusiva della Procura generale. I carabinieri del Ros hanno recuperato i recapiti di lavoro degli imputati e l’Avvocatura dello Stato, parte civile per conto del governo, propone di notificare lì gli atti. Ma sarebbe una forzatura del codice italiano. E proprio dalla Procura generale egiziana arriva la novità che potrebbe rappresentare lo sbarramento definitivo alla possibilità di andare avanti con il processo.

Le prove raccolte dalla Procura di Roma - L’ufficio giudiziario del Cairo ha infatti esaminato le prove raccolte dal procuratore aggiunto di Roma Sergio Colaiocco (con la collaborazione del Ros e del Servizio centrale operativo della polizia) a carico del generale Sabir Tariq, dei colonnelli Mohamed Athar Kamel e Helmi Uhsam, e del maggiore Magdi Ibrahim Sherif (accusato anche delle torture e dell’omicidio). Arrivando a un loro sostanziale proscioglimento.

Il memorandum - In un memorandum consegnato all’Italia il 26 dicembre 2020, è scritto che “il quadro probatorio avanzato dalle autorità italiane è poco solido e contrario ai meccanismi della cooperazione giudiziaria internazionale, il che spinge la Procura generale a ritenere che le autorità italiane si siano sviate dalla verità, ed esclude tutti i sospetti nei confronti degli indagati”. Quel provvedimento, comunica il ministero italiano al giudice Ranazzi, secondo l’Egitto “ha natura decisoria irrevocabile, non più suscettibile di impugnazione e preclude la riapertura di un procedimento nei confronti degli stessi soggetti”. Di conseguenza, “l’assistenza giudiziaria sarebbe preclusa dal principio del ne bis in idem (non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto, ndr) sancito dall’ordinamento interno egiziano e dalle Convenzioni internazionali”. In pratica un’assoluzione definitiva senza che si sia celebrato il processo. Utilizzata dall’Egitto per impedire lo svolgimento di un regolare giudizio in Italia. Che resta sospeso, in attesa di una soluzione che non si trova.