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di Marzio Breda

Corriere della Sera, 12 luglio 2023

Abuso d’ufficio e traffico di influenze, sono i punti su cui è perplesso il Presidente della Repubblica. Ma Mattarella firmerà per dovere d’ufficio (nella storia repubblicana non ci sono precedenti contrari). Il governo dice che quello preparato dal ministro Carlo Nordio è solo “l’anticipo” di una ben più vasta riforma della giustizia, e che la parte corposa la vedremo tra l’autunno e l’inverno. Eppure, già nella decina di articoli che formano il disegno di legge allo studio del Quirinale non mancano nodi tali da suscitare la perplessità di Sergio Mattarella.

Dubbi platonici, comunque. Nessuna criticità costituzionale. Il presidente firmerà per dovere d’ufficio (nella storia repubblicana non ci sono precedenti contrari) l’autorizzazione a presentare alle Camere il ddl. Che, ripetono annoiati sul Colle, non è un decreto legge subito operativo e avrà dunque davanti a sé un percorso parlamentare non breve e suscettibile fino all’ultimo di aggiustamenti. Alcuni dei quali magari riservatamente segnalati dal Colle, nella logica della “leale collaborazione tra poteri” che va sotto il nome di moral suasion.

I problemi più sensibili, per il capo dello Stato, e che potrebbero chiamarlo in causa - se, in sede di ratifica finale, il testo restasse com’è oggi - sembrano concentrati soprattutto su due articoli della miniriforma. Quello che fa scomparire l’abuso d’ufficio e quello che riduce in modo drastico la portata del traffico d’influenze. Considerando il crescente orientamento anticorruzione della legislazione europea, far calare l’eclissi su questi reati ci esporrebbe a critiche e tensioni con Bruxelles. Ciò che fa riflettere Mattarella, nella consapevolezza che l’Italia non ha bisogno di nuove prove di forza.

Si tratta, infatti, di abrogazioni incompatibili - dal punto di vista della coerenza giuridica e perfino morale - con lo spirito del tempo. Basta sfogliare una raccolta di leggi e un archivio di giornale per sincerarsi di quanto siano diffuse, e detestate dalla gente, quelle forme di illegalità. Che riassumiamo nella loro formulazione per comodità del lettore.

La prima ipotesi di reato è regolata dall’articolo 323 del codice penale e riguarda i casi in cui un pubblico ufficiale agisce in modo arbitrario, abusando dei suoi poteri o funzioni, per ottenere un vantaggio personale o arrecare un danno a un terzo o alla collettività. Alla seconda ipotesi si riferisce invece l’articolo 346 bis e si verifica quando, di fronte a iter burocratici nell’ambito della pubblica amministrazione, un soggetto o più soggetti sfruttano conoscenze influenti in tale ambito per ottenere favori e agevolazioni, spesso anche pagando somme di denaro.

A sostegno della doppia cancellazione c’è una maggioranza politica trasversale, cui si appellano moltissimi sindaci, bersagli principali di inchieste che quasi mai si concludono con condanne. E la stessa inconcludenza si verifica nei processi per traffico d’influenze. Questioni sulle quali s’interroga pure la magistratura, oberata e minata nella propria credibilità da questo tipo d’indagini che sfociano nel nulla. È possibile che Mattarella e la premier Meloni ne parlino, tra molte altre cose, in un incontro previsto per domani al Quirinale.