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di Piero Sansonetti

 

Il Garantista, 3 gennaio 2015

 

Francamente speravo di ricevere una secca smentita. Mi auguravo che qualcuno, stamattina, rispondesse indignato alle accuse, pesantissime, che ieri abbiamo lanciato dalla prima pagina del nostro giornale.

Noi abbiamo sostenuto che la magistratura di Reggio avrebbe incriminato una ragazzina, contestandole il 416 bis (cioè il reato di associazione mafiosa) sebbene questa bambina, all'epoca di fatti, avesse meno di 14 anni.

E abbiamo sostenuto - sfidando l'assurdo - che la magistratura calabrese abbia accusato questa ragazzina (che oggi è sulla soglia dei 17 anni) di aver svolto, o forse di svolgere ancora, la funzione di capoclan.

Cioè di essere una dei più importanti capi della cosca dei Gallico. Avevamo controllato tutte le carte, e per la verità non c'erano molti dubbi. La data di nascita è quella: 1998. E il primo fermo, che è avvenuto con un posto di blocco, dopo una serie di intercettazioni, risale al 2012, qualche mese prima che la ragazzina compisse i 14 anni e che dunque, per la legge - ma non molto per il buonsenso - fosse incriminabile e punibile. E tuttavia immaginavamo che potesse esserci un errore, che la data fosse stata sbagliata o chissà che.

Possibile - ci chiedevamo - che davvero un magistrato abbia deciso che per battere la mafia bisogna dar la caccia ai bambini? Può darsi che la smentita arriverà, magari oggi, o domani, o tra un mese: chissà, in effetti i tempi della magistratura sono sempre stati un po' lenti. Magari la data di nascita è stata trascritta male, forse era il 1988 o il 1978. Se invece non dovesse arrivare, se cioè fosse confermata l'incriminazione per associazione mafiosa di una bambina di 13 anni e mezzo, davvero ci sarebbe da preoccuparsi parecchio.

Soprattutto se questa notizia, non smentita, non dovesse sollevare una vera e propria rivolta, non solo nella società civile, ma soprattutto all'interno della magistratura. Come possono tanti magistrati, che sono impegnati molto seriamente nello svolgimento del loro lavoro, e che questo lavoro lo interpretano con serietà, e rispettando i confini della legge, e la Costituzione, e il buonsenso, non sentirsi infanganti dalla persecuzione della magistratura, alla quale appartengono, contro una ragazzina?

Come possono non capire che l'uso a vanvera del 416 bis è il modo migliore per sputtanare definitivamente questo articolo del codice penale italiano, che non esiste in nessun altro codice al mondo, e che - soprattutto se usato in questo modo avventato, quasi paradossale - rischia di trasformare la nostra giurisprudenza in qualcosa di lontanissimo dalla modernità e dalla civiltà giuridica?

Quel che preoccupa è che, al momento, nessuno reagisce. Il fatto che accusino una bambina di essere più o meno come Riina non stupisce nessuno. Sarà pure che è Capodanno, d'accordo, ma i fatti sono fatti, e qualche esponente delle autorità potrebbe anche preoccuparsi di confermare o smentire un fatto così clamoroso, o di giudicarlo, di commentarlo, o di esecrarlo. Se una cosa del genere fosse avvenuta in un Paese arabo, state sicuri che già si sarebbe sollevata - giustamente - un' iradiddio, e ci avrebbero spiegato tutti che finché nel mondo arabo la giustizia resta così medievale, non c'è niente da fare per quella parte del mondo.

Ora la ragazzina dovrà subire un processo, se nessuno interviene per fermare questa mostruosità, rifiutando il rinvio a giudizio - che ancora non c'è stato - e rischia una pena che, a seconda delle aggravanti, può andare dai 4 anni ai 22 e mezzo. Non solo non si sono sollevate voci di censura per l'incriminazione della bambina, ma addirittura sui social network, che comunque sono sempre i più rapidi a innescare le discussioni, è iniziato una specie di effetto-paradosso. Cioè, non ci si stupisce per la stravagante iniziativa dei giudici, ma al contrario per il fatto, dato per assodato, che un clan mafioso fosse alle dipendenza di una bambina di 13 anni.

Qual è il problema? In assenza di una società "politica", e di un sistema dell'informazione, in grado di dare dei punti di riferimento all'opinione pubblica, è chiaro che l'opinione pubblica si lascia condizionare e guidare dalle uniche istituzioni ancora funzionanti. E dunque - specie in Calabria - dalla magistratura. E ciò che dice la magistratura è vangelo, è la verità, non si discute. Il danno di questo sbandamento del senso comune è enorme, e può compromettere le fondamenta della nostra civiltà.