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di Vladimiro Zagrebelsky

La Stampa, 14 gennaio 2024

Un filo lega diverse iniziative legislative del governo o di parlamentari della maggioranza. È l’insofferenza verso la informazione fornita dai media al pubblico. Non per la valanga di notizie e fotografie che svelano i segreti di attrici e calciatori, né tutto sommato per le notizie e dettagli di cronaca nera o rosa riguardanti persone comuni. La reazione riguarda piuttosto le rivelazioni, spesso tratte da indagini penali, su personaggi che sono variamente parte del Potere: il potere politico, quello altrimenti pubblico, quello economico, quello comunque influente nella società. Può essere inevitabile, ma rilevarlo serve a inquadrare il fenomeno. Non da ora, si usa il nobile richiamo alla costituzionale presunzione di non colpevolezza per impedire la circolazione delle notizie tra il vasto pubblico (nei corridoi del Palazzo è altra cosa).

Adesso però, più che per la presunzione di non colpevolezza (che riguarda il solo indagato o imputato nel procedimento penale, fino alla eventuale condanna definitiva), si interviene nel campo del diritto al rispetto dell’area di riservatezza che è propria di ciascuno. Infatti, la imposizione di nuovi segreti e divieti di pubblicazione riguarda notizie relative ai non indagati. Non si tratta - per questo aspetto - di un attacco alla magistratura e alla sua funzione, ma di un problema che tocca tutti e ciascuno, perché impedisce alla stampa di svolgere la sua essenziale funzione di informazione, pilastro della democrazia. La libertà di stampa e di espressione comprende il diritto a ricevere le informazioni. Questo spetta a tutti, ma può confliggere con il diritto di ciascuno a veder rispettata l’area di riserbo che tocca la vita privata. Si crea così un conflitto tra diritti: entrambi hanno fondamento nella Costituzione e nelle fonti internazionali, come, in particolare, la Convenzione europea dei diritti umani. Il criterio fondamentale per risolvere il contrasto è quello della proporzione: proporzione nel ritenere esistente l’interesse pubblico alla notizia, proporzione nel decidere se, come e quando pubblicarla, con quale titolo, eccetera. È un dato acquisito che è decisivo non solo il contenuto della notizia, ma anche la personalità più o meno pubblica di chi ne è coinvolto.

L’interesse per un dibattito utile alla formazione dell’opinione pubblica in una società democratica è però cosa distinta dalla curiosità del pubblico. Il primo e non la seconda prevale sul diritto delle persone al rispetto di ciò che riguarda la vita privata. Caso per caso la valutazione di proporzionalità può essere difficile e controvertibile nei suoi risultati. Ma essa è indispensabile e il giornalista deve farsi guidare dalle regole deontologiche della sua professione. Si tratta di un esercizio difficilmente disciplinabile con il divieto di pubblicare questa o quella categoria di atti o tipologia di notizie, definite in astratto. Avviene invece ora che la protezione dell’interesse di singoli non indagati, ma coinvolti in un procedimento penale (testimoni, interlocutori in una conversazione intercettata, ecc.), venga fatta prevalere alla cieca su ogni altra considerazione di interesse pubblico. Così si vuole adesso eliminare ogni dato che consenta di identificare soggetti diversi dalle parti nel procedimento (forse sarà solo nelle trascrizioni di intercettazioni). Ma non si considera che il senso e la credibilità di una informazione sono legati alla identità di chi la fornisce, cosicché la eventuale pubblicazione anonima risulta alterata. In ogni caso, contro diffusa prassi giornalistica, anche gli indagati e le parti offese in una indagine o processo penale hanno diritto al rispetto della loro vita privata, ogni volta che non prevalga l’interesse pubblico alla conoscenza.

E ora si vuole anche rendere non pubblicabile la motivazione di provvedimenti del giudice di limitazione della libertà personale con le misure cautelari (in carcere o diverse). Ma in tal modo di apre una diversa ragione di dissenso, non più legata ai limiti della protezione di ciò che attiene alla vita privata dei singoli. La motivazione dei provvedimenti sulla libertà personale è una garanzia imposta dalla Costituzione. La conoscenza della motivazione e la sua critica da parte della opinione pubblica è fondamentale condizione che rende possibile il controllo sul funzionamento delle procedure giudiziarie: in questo caso, nello scontro tra il potere dello Stato e il diritto individuale alla libertà. Impedire la conoscenza della motivazione porterebbe a giornali che danno notizia che Tizio è stato portato via da casa: non si sa perché. Stupisce che una simile idea venga proposta da chi si dice liberale. Più in generale, si adotta un meccanismo perverso. Accade - occorre tenerne conto - che in provvedimenti giudiziari e in articoli nei media vi sia qualcuno che straparla o deborda. Invece che lavorare per contrastare questa realtà, per legge si impone: tutti zitti!