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di Enzo Augusto

Gazzetta del Mezzogiorno, 11 maggio 2022

Su una cosa sono assolutamente d’accordo con i magistrati che lunedì 16 maggio fanno sciopero, o meglio si astengono dalle udienze, e senza che ciò, sia ben chiaro, possa menare scandalo. E cioè sull’assoluta e totale inutilità della Legge Cartabia che va a breve in seconda lettura al Senato. Una legge frutto di estenuanti compromessi che la hanno completamente svuotata. D’altro canto, se tutti i partiti sono d’accordo, è evidente che non serve a niente. Serve, comunque, ad ottenere i finanziamenti del PNRR che, in mancanza, salterebbero, e a tentare di disinnescare i referendum che, benché depotenziati dalla Corte Costituzionale, avrebbero effetti ben più perniciosi per la Magistratura di una Legge all’acqua di rose.

Mi trovo invece in disaccordo con alcune motivazioni ed argomentazioni sottese alla protesta. Si contesta che la Legge vorrebbe un Magistrato burocrate. Dio ce ne scampi. Di burocrazia già l’Italia muore. Ci mancherebbe, anche se alcuni Giudici già si comportano da burocrati, inconsciamente o a bella posta per comodità. Sull’affermazione che la giustizia non è un’azienda sarei più cauto. Non è un’azienda, forse non può funzionare come un’azienda. Ma deve funzionare. Il giudice deve essere autonomo nella decisione, ma deve rendere il proprio servizio come un qualsiasi funzionario a cui viene richiesta autonomia ma anche produttività. E l’intero sistema va organizzato in termini di efficienza. A dirigere gli uffici (non solo a scrivere le sentenze) ci vogliono magistrati/dirigenti che conoscano il mestiere, che sappiano far funzionare il sistema giudiziario. E questo principio deve valere anche per il CSM.

Poi c’è il nodo delle valutazioni. “Nessuno mi può giudicare” cantava Caterina Caselli, per chi se la ricorda, ma non credo possa essere il blasone della Magistratura. Nessuno può ritenersi sottratto a qualsivoglia giudizio. È giusto che i Magistrati, come sono criticabili, siano valutabili. Si dice che un sistema di valutazione già c’è. Ma se c’è, non funziona. Antidoti e controlli troppo spesso lasciano il tempo che trovano. Si dice che se vengono messe in discussione le performances, poi il Giudice ne viene intimidito e ha timore di sbagliare. Qual è il problema?

Il Giudice deve essere timorato di sbagliare. Non può pretendere di sbagliare impunemente. Di ritenersi libero di sbagliare senza conseguenze. Di fare il Giudice spericolato alla Vasco Rossi. Il timore, l’essere timorato, è, questo sì, un grande antidoto all’errore. Nella vita e quindi anche nel giudicare. Impone l’umiltà di fronte a una funzione, quella di giudicare un altro uomo, che è la più delicata che possa esistere. Intendiamoci. Abbiamo fiducia nei magistrati. Gli avvocati, se possono, preferiscono la giustizia ordinaria a quella arbitrale, più veloce ma con meno garanzie. Può esserci certamente una contraddizione tra autonomia e indipendenza, che vanno tutelate, ed esigenza di efficienza e produttività. Ma questo è, e deve essere, il gravoso compito del Magistrato.

Diciamola tutta. Ad onta dei bravi Magistrati che sono la maggioranza, ad onta degli antidoti e controlli che nella maggioranza dei casi funzionano ma che troppo spesso non funzionano affatto, rimane una larga fascia di ingiustizia su cui è interesse di tutti (soprattutto dei Magistrati bravi) intervenire. Ci sono vite distrutte, carriere troncate, imprese rovinate con danni economici e sociali incalcolabili. Più cautela e “timore” sarebbero salutari. E stiano tranquilli i Magistrati. C’è chi vuole sottometterli e chi li vuole colpire.

Ma c’è anche chi li difende e li sosterrà in questo momento di malessere. Il problema è che la Magistratura se si corporativizza e si vittimizza si fa male da sola. Se l’indice di gradimento della categoria è precipitato a livello dei parlamentari (!) qualche problema ci deve essere. E di questo deve discutere il 16 maggio, che può e deve essere un’occasione di confronto.

La Legge si può, anzi si deve, modificare in alcuni punti, ma ciò che va cambiata è la mentalità complessiva di tutti gli operatori, Magistrati in primis. Ma anche avvocati. Il sistema della giustizia deve essere un servizio per la collettività in termini di quantità, certo, ma anche di qualità. Bisogna ridurre i tempi, che sono vergognosi. Bisogna evitare le prescrizioni, che non dipendono da un destino beffardo ma soprattutto ripudiare una mentalità diffusa più portata a spaccare il capello in quattro che a dare un risultato concreto in tempi decenti. Protestiamo tutti, non solo i Magistrati. E rimbocchiamoci le maniche tutti, anche i Magistrati, per uscire dal tunnel in cui la giustizia è infilata da anni.