sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Piero Sansonetti

Il Riformista, 12 aprile 2022

Intervista a Gian Domenico Caiazza. “Non è centrata sulle questioni cruciali che noi avevamo posto. Però qualche timida innovazione c’è. Sebbene in Parlamento ci sia un blocco Pd-5S schierato a difesa della corporazione dei Pm”.

La riforma della magistratura è quasi pronta e cambierà molto poco nel sistema giustizia. In commissione si dovrebbe votare oggi. I partiti hanno trovato l’accordo su un testo che sfiora appena i privilegi dei magistrati e stabilisce un sistema di elezione del Csm che con ogni probabilità, anziché indebolire (o cancellare) il correntismo, aumenterà il potere delle correnti.

I magistrati però non sono contenti, perché comunque ritengono che i loro privilegi e la loro autonomia - intesa come assenza di qualunque possibilità di controllo sul loro operato - non devono essere neppure sfiorati, perché sfiorandoli si rimetterebbe in discussione l’enorme porzione di potere che la magistratura, e in modo del tutto particolare le Procure, hanno conquistato per se negli ultimi 30 anni modificando - a danno degli altri poteri - gli equilibri previsti dallo Stato liberale.

Il partito delle Procure difende palmo a palmo ogni centimetro conquistato dalla Riforma Cartabia, e minaccia di scendere in lotta con lo sciopero e la richiesta di bloccare tutto. Il partito dei Pm ritiene che se una riforma va fatta tocca ai magistrati scriverla. Al Loro partito, cioè - credo - all’Anm, che è il luogo dove le correnti trovano il compromesso. E si attestano su questa linea come fosse il Piave.

Del resto la ministra Cartabia ha trovato enormi difficoltà per ottenere almeno un accenno di riforma. Che serva, per così dire, non a stravolgere il sistema e riportarlo alla legalità, ma almeno a dare un segnale piccolo piccolo di rinnovamento. Le difficoltà hanno nome e cognome: Pd e Cinque Stelle, che in Parlamento costituiscono un blocco che si divide su quasi tutte le materie politiche ma ritrova l’essenza della sua unità nel mettersi al servizio del partito delle Procure.

Come si esce da questa impasse? Certo non se ne esce con questo Parlamento. E il governo di coalizione può fare poco. Restano i referendum. Sono l’unico strumento che il partito delle Procure non controlla (è impossibile spiccare un mandato di cattura contro i referendum…). Se si raggiunge il quorum e se vincono i sì la situazione generale si rovescia. Una vittoria ai referendum sarebbe la prima vera sconfitta del potere dei Pm in tutta la storia della repubblica. C’è la possibilità che questo avvenga? La possibilità c’è, ma è sottile sottile.

Sono ore cruciali per la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Da un lato un dibattito politico serrato, dall’altro una magistratura pronta allo sciopero. Di questo scenario parliamo con Gian Domenico Caiazza, Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane.

Presidente Caiazza che giudizio dà dell’accordo a cui si è giunti nel fine settimana?

Questa riforma è strutturalmente debole, non essendo, tra l’altro, centrata sulle questioni che noi riteniamo cruciali. Tanto è vero che appena sarà approvata e avremo visto i contenuti, siamo pronti a scendere in campo con le nostre proposte di legge di iniziativa popolare. Tuttavia, dobbiamo sottolineare qualche elemento positivo: mi riferisco in particolare alle valutazioni di professionalità e all’emendamento dell’onorevole Costa grazie al quale si è costituito il fascicolo di performance che segnalerà statisticamente l’indice delle anomalie. È un primo passo importante verso la responsabilizzazione professionale dei magistrati.

Tuttavia questa previsione non piace a una parte della magistratura perché darebbe vita a burocrati impauriti, come ha detto il Presidente dell’Anm in una intervista a La Stampa...

Si tratta di obiezioni pretestuose e che nascondono l’idea di fondo di una magistratura autoreferenziale che non tollera di essere valutata e giudicata. E comunque il magistrato non deve temere di assumere decisioni creative, innovative in quanto la valutazione non verrà operata sui singoli provvedimenti ma su una statistica quadriennale.

In merito al fascicolo, anche il Partito Democratico, e non solo Caselli, ha parlato di schedatura. Questo porta a fare una considerazione: la politica è ancora subordinata alla magistratura?

In questo Parlamento c’è una maggioranza relativa molto sensibile alle esigenze corporative della magistratura. La reazione del Pd sulle valutazioni di professionalità lo dimostra e significa scimmiottare le parole di Caselli.

Un passo avanti è rappresentato dalla norma che stabilisce che è possibile un solo passaggio di funzioni tra pm e giudice. Questo apre la strada alla vera riforma della separazione delle carriere?

Certamente viene fissato un principio. Anomalie, come quella di avere come presidente di sezione di Cassazione un magistrato che per 30 anni ha fatto il pubblico ministero, devono essere cancellate. Però bisogna dire che già con la riforma Castelli i passaggi si erano ridotti di molto, siamo intorno ad una percentuale del 2%.

Come Unione appunto sostenete che è una riforma debole però la dura reazione dell’Anm, compresa quella di ipotizzare uno sciopero, ci deve forse spingere a pensare che non sia proprio così...

Innanzitutto questo dimostra che la magistratura associata ha perso la misura della propria crisi e ha reazioni estremamente corporative pure in presenza di riforme con impatto contenuto. Certo, la riforma sta cominciando a toccare punti che noi riteniamo importanti. Il merito è della Ministra Cartabia: ella ha idee e coraggio però in un contesto politico di maggioranza molto eterogeneo e per questo complesso da gestire. È vero che il nostro complessivo giudizio è di insoddisfazione sulla riforma, però, data la situazione, la Guardasigilli ha probabilmente ottenuto il massimo possibile.

Però la stessa Ministra oltre un anno fa aveva detto alle Camere che la riforma era improcrastinabile. Tuttavia ha depositato gli emendamenti in Commissione giustizia solo a fine febbraio, dopo aver messo da parte il lavoro della Commissione Luciani. Con più tempo per discutere si sarebbero potuti ottenere risultati migliori?

In teoria una maggiore discussione sarebbe stata certamente auspicabile. In pratica con questo quadro politico non sarebbe servito a molto dibattere di più. La magistratura italiana in questa riforma che avversa è sostenuta sostanzialmente dalla coalizione Pd-Movimento Cinque Stelle, ossia dalla quasi maggioranza del Parlamento. Possiamo anche discutere anni ma il problema è che c’è un blocco saldo a difendere strenuamente le prerogative corporative della magistratura.

Ma se si arrivasse a porre la fiducia anche su questa riforma, non sarebbe l’ennesimo fallimento delle prerogative parlamentari?

È senza dubbio un fallimento della democrazia governare a colpi di fiducia. Già prima del Governo Draghi, dall’inizio della legislatura, si va avanti a colpi di fiducia. In questo caso però avrebbe qualche giustificazione: su un tema così divisivo come è quello sulla giustizia e con una tale maggioranza politica è pressoché inevitabile arrivare a porre la fiducia. È già troppo che si siano fatti questi passi avanti.

Cosa ne pensa di questa querelle a distanza tra il deputato di Italia Viva, Cosimo Ferri, e il Segretario di Area Eugenio Albamonte?

Ferri è un parlamentare della Repubblica e quindi sia lui che il gruppo politico di appartenenza non possono avere limitazioni nell’esercizio delle loro prerogative. Poi nella politica esistono anche questioni di opportunità e ognuno le gestisce come crede.

In un recente convegno di Giustizia Insieme è emerso che ora la preoccupazione della magistratura è quella che gli avvocati diventino i nuovi protagonisti della comunicazione giudiziaria, le nuove fonti della stampa, visto che la norma sulla presunzione di innocenza limita molto le Procure. Il Pg di Cassazione Salvi ha anche detto: “Anche questa è una cosa che dobbiamo discutere: il difensore ha obbligo di verità? Ha obbligo di correttezza? Non so, è un tema però che forse va posto, perché non è possibile che la disciplina sia solo quella del magistrato”...

Dinanzi a questo genere di argomentazioni resto senza parole. Gli avvocati sono dei liberi professionisti e acquisiscono nella fase delle indagini le informazioni che il pm e il gip ritengono di mettere a disposizione. Il principio del controllo della comunicazione non può che riguardare chi fa le indagini e avanza l’ipotesi accusatoria, perché è così che si mette in discussione la presunzione di non colpevolezza. Queste blande limitazioni alla comunicazione sono poste proprio agli uffici di Procura perché è la loro comunicazione che si scontra con la presunzione di innocenza, che non può essere minata dalla comunicazione dell’avvocato. Qualora anche ci fosse qualche avvocato spregiudicato esistono le sanzioni previste dal codice deontologico.