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di Giuseppe Salvaggiulo

La Stampa, 25 aprile 2023

Si punta a rivedere il traffico di influenze, modifiche al reato di tortura. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio è determinato a portare in Consiglio dei ministri la prima “lenzuolata” di riforme a maggio. Come stabilito nel cronoprogramma concordato a Palazzo Chigi, conterrà modifiche su reati contro la pubblica amministrazione, misure cautelari, intercettazioni, tortura. In autunno le più ambiziose riforme costituzionali su separazione delle carriere e obbligatorietà dell’azione penale.

L’intervento sul codice penale riguarderà i reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze illecite. Il primo additato dai sindaci (in primis quelli del Pd) come causa della “paura della firma”. Il secondo contestato dai lobbisti che ritengono criminalizzata la loro attività relazionale.

Le polemiche sull’abuso di ufficio sono antiche. Numerosi i correttivi legislativi per limitarlo, sin dagli Anni 90. L’ultimo nel luglio 2020, per opera del governo Conte. Orma il reato è residuale e di rara applicazione, solo per casi di abuso di potere plateale. Su 100 inchieste aperte, solo 2 si concludono con condanne. Tuttavia secondo la tesi abolizionista il mero rischio di un’indagine funge da deterrente a una celere azione amministrativa. I ritardi sul Pnrr potrebbero aiutare a considerare la riforma un salutare sblocco.

Sul tavolo del ministro tre ipotesi: abrogazione secca del reato; ulteriore limitazione con chirurgici interventi sulla fattispecie; depenalizzazione e trasformazione in illecito amministrativo. Nordio predilige la prima e più radicale opzione. Forza Italia concorda. Gli alleati no.

La Lega, “assolutamente contraria”, sostiene che la cancellazione tout court del reato sarebbe un boomerang, perché indurrebbe i pm a contestarne di più gravi a parità di condotte. Fratelli d’Italia teme di esporsi a una campagna del Movimento 5 Stelle contro il governo “salvacorrotti” (spesso l’abuso d’ufficio viene usato come ipotesi di partenza in indagini che poi virano sulla corruzione).

Quanto al traffico di influenze illecite (il reato dei faccendieri che intermediano rapporti veri o presunti con pubblici funzionari, in cambio di denaro o prebende), l’abrogazione è improponibile. Fu introdotto dalla legge Severino undici anni fa per adempiere a obblighi internazionali tuttora vigenti.

I detrattori ne hanno sempre contestato l’evanescenza, tanto più in assenza di una disciplina sul lobbismo legale. Dunque bisogna lavorare di cesello, per restringerne drasticamente l’applicazione. Come? Finalizzare l’intermediazione illecita solo alla commissione di altri reati; prevedere criteri più restrittivi sul dolo intenzionale; escludere la punibilità di prebende a carattere non patrimoniale (caso di scuola nella giurisprudenza, la messa a disposizione di escort).

Su questo fronte obiezioni nella coalizione non dovrebbero esserci. Le polemiche in ogni caso sì, poiché una modifica del reato inciderebbe su processi già conclusi o in corso. Per questo reato sono a giudizio tra gli altri Beppe Grillo a Milano, l’avvocato Alberto Bianchi a Firenze, Tiziano Renzi a Roma. Gianni Alemanno è stato condannato a Roma; Palamara ha appena chiesto il patteggiamento a Perugia.

Sulle intercettazioni, Nordio considera imprescindibile il rafforzamento della tutela della riservatezza delle persone estranee all’indagine, citate nelle conversazioni senza rilevanza penale. Perciò intende vietare anche la mera trascrizione dei loro nomi nei brogliacci di polizia giudiziaria, per evitarne la successiva circolazione anche mediatica. Ma la soluzione tecnica non è facile: a chi affidare il potere di selezionare le intercettazioni? A un ufficiale di polizia o a un magistrato?

Più in generale, si intende tornare alla riforma Orlando. Ciò significa cancellare la possibilità, introdotta dalla legge Bonafede cosiddetta “spazzacorrotti”, di usare il più invasivo trojan non solo per mafia e terrorismo, ma anche per corruzione. Un altro pallino di Nordio è la custodia cautelare. Vuole intervenire non su reati e presupposti (il che delude gli avvocati), ma sulla procedura. E affidare la decisione a un collegio di tre magistrati e non più al solitario giudice per le indagini preliminari. Altra modifica: interrogatorio obbligatorio prima di privare qualcuno della libertà personale. Obiettivo garantista, ostacoli operativi: mancano magistrati soprattutto nei piccoli tribunali. Per le inevitabili incompatibilità, chiusa l’inchiesta non se ne troverebbero per fare i processi. Inoltre è difficile interrogare in 96 ore centinaia di persone da arrestare nelle maxioperazioni antimafia.

Infine, rispunta la limitazione del reato di tortura, introdotto nel 2017. L’obiettivo dichiarato è tutelare la polizia penitenziaria. La questione è delicata: secondo le associazioni si tratterebbe di un’abrogazione mascherata che legalizzerebbe condotte violente e autoritarie. In attesa dei testi, dalle Camere penali filtra un ottimismo alimentato dalla stima per Nordio ma calmierato “dallo iato tra annunci e compromessi politici”. Dall’Associazione nazionale magistrati perplessità per “ipotesi illuministe slegate dalla sostenibilità organizzativa delle riforme”. Il Pd contesta “un minestrone di annunci a casaccio”.