sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Vladimiro Zagrebelsky

La Stampa, 17 luglio 2023

Il lancio di ogni idea di modifica della legislazione vigente sulla giustizia penale, da tempo va sotto l’impegnativo nome di Riforma della Giustizia. Si tratta più modestamente di modifiche più o meno ampie e talora solo puntuali di una o altra previsione legislativa. La quotidiana aggiunta di nuovi temi non ha nulla della organicità che richiederebbe il grande tema della riforma (nel senso del miglioramento) della Giustizia penale. Molte idee immesse in un caotico dibattito politico restano generiche e manca l’approfondimento delle prevedibili conseguenze. Spetta al Parlamento produrre leggi e assumere decisioni, ma la natura di certi temi richiede che esso abbia presenti gli argomenti che ne illustrano la complessità. Vi è invece spesso un semplicismo intollerabile, ignorante del dibattito che da lungo tempo accompagna lo studio di ciascun tema. L’aria di dissacrante novità che si vuol indurre contraddice il dato di fatto, che non una delle riforme che si propongono è originale. Tutte e ciascuna sono già oggetto di approfondito studio e dibattito da parte degli studiosi del diritto penale nonché della giurisprudenza prodotta dai giudici e, in particolare, dalla Corte di Cassazione.

Così è per la questione dell’abuso di ufficio, che si vuole abolire dopo ripetute e anche recenti modifiche legislative e di progressive specificazioni elaborate dalla giurisprudenza, alla ricerca della maggior possibile definitezza. Ma qualunque modifica legislativa si voglia ancora introdurre non potrà arginare il gran numero di denunce che raggiungono le procure della Repubblica attivando le necessarie indagini preliminari. E non ci si dovrà stupire di effetti imprevisti della eventuale abolizione della norma che punisce l’abuso di ufficio. Ogni norma è situata e ha il suo spazio nel sistema complessivo. Il rapporto tra l’una e le altre è retto dal criterio di specialità: se si toglie una norma speciale emerge la applicazione di quella generale, che può essere più o meno grave, ma in ogni caso richiede indagine e decisione giudiziaria.

In qualche misura analoga e tutt’altro che nuova è la questione, recentemente agitata, del concorso esterno nelle associazioni di tipo mafioso. Esso è oggetto di un lungo percorso di crescente specificità nella applicazione che se ne fa. Stupisce che ora se ne metta in discussione l’esistenza stessa, con il solo effetto di un inquietante annuncio. Su un piano diverso si pone il tema che va sotto il titolo di “separazione delle carriere tra giudici e pm”. Innanzitutto perché, qualunque cosa essa significhi, tra le tante possibili, richiederebbe una riforma costituzionale. E, per darle un senso, porterebbe alla abolizione del principio della obbligatorietà della azione penale e la definizione di luoghi e modi della adozione e attuazione di una “politica penale” gestita attraverso le scelte di agire o di non agire. Poiché di questo si tratta e non, come invece si dice, di assicurare l’imparzialità del giudice, separandolo dai magistrati del pubblico ministero nell’iniziale reclutamento e nella carriera. Con le conseguenze naturali che se ne avrebbero sullo status dei magistrati del pubblico ministero, il loro rapporto con il governo, ecc. ecc. Vasto programma, su una questione che è seria se se ne evita il solo agitar di bandiere o il ripetere inutili slogan. Seria, ma straordinariamente impegnativa, poiché, come più volte ha ritenuto la Corte costituzionale investe capisaldi del sistema costituzionale, delle garanzie e della separazione dei poteri.

Nel frattempo, il governo avrà occasione di impegnarsi sull’individuazione dei criteri generali che dovranno essere indicati con legge dal Parlamento, perché le procure della Repubblica vi si uniformino nel definire i criteri di priorità. Così stabilisce la legge del 2021 e si tratta di una novità, che vuole disegnare un equilibrio tra la responsabilità politica del Parlamento e l’autonomia della magistratura nella programmazione della trattazione delle notizie di reato. Si tratta - anche perché sarà la prima volta - di un impegno molto difficile che grava prima di tutto sul ministero della Giustizia. Dal suo esito si vedrà se certe proclamazioni destinate al solo clamore del dibattito sono destinate a concretizzarsi in qualche cosa di rilevante rispetto ai problemi reali.

Mentre di tutto ciò si discute, rimane ai margini il problema vero e profondo. Si tratta della intollerabile durata dei procedimenti penali, di cui l’enormità dei carichi pendenti negli uffici giudiziari è solo un aspetto. Diverse distorsioni ne sono la conseguenza: per esempio l’uso abnorme delle misure cautelari e la tensione tra i tempi dell’accertamento giudiziario e il diritto del pubblico di essere informato. Il sistema processuale italiano ha caratteri fondamentali che producono tempi lunghi; non solo per i tempi morti tra una fase e l’altra, tra una udienza e l’altra. Si sentono lodare i modi di procedere americani o britannici, ma si tace che là, tra le altre cose, vige il sistema della giuria. La giuria decide con verdetti privi di motivazione: guilty - not guilty, colpevole - non colpevole. E gli appelli sono rarissimi e sostanzialmente solo di natura procedurale, proprio perché la mancanza di motivazione non apre la strada a riesami, discussioni, critiche. E quindi a possibili decisioni difformi.

Invece il sistema italiano (e generalmente europeo continentale) è costituzionalmente fondato sulla motivazione dei provvedimenti giudiziari e sulla loro ricorribilità. La legge processuale offre infinite possibilità di appelli e ricorsi in Cassazione. I tempi ovviamente si allungano, molte risorse vengono impiegate, decisioni giudiziarie difformi vengono assunte anche a distanza di molto tempo. I danni per imputati e vittime sono gravissimi, eppure la difformità delle decisioni giudiziarie è il fisiologico esito della possibilità di impugnarle criticandone il fondamento. Farebbe paura l’importazione di sistemi che altrove sono radicati nella storia, ma che non corrispondono alle nostre richieste di garanzia. Ma ignorare la questione fondamentale dei tempi delle decisioni giudiziarie e non affrontarne cause e rimedi, non aiuta a mostrare di voler prender sul serio le radici dei problemi.