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di Stefano Passigli

Corriere della Sera, 25 giugno 2023

Sarebbe stato lecito attendersi proposte volte ad affrontare il più rilevante difetto che affligge la nostra Giustizia: la perdurante lentezza dei processi. Da Carlo Nordio, magistrato prima ancora che uomo politico, era lecito attendersi una riforma che affrontasse il più rilevante difetto che affligge la nostra Giustizia: la perdurante lentezza del processo civile che tanto impatto negativo ha sulla attività economica, e del processo penale ove la prescrizione, lungi dal costituire una soluzione estrema al problema della durata dei procedimenti, è spesso adottata come strategia difensiva dagli accusati e dai loro difensori, e diviene perciò essa stessa fonte del prolungarsi del processo.

Il guardasigilli Nordio, tradendo la sua formazione giuridica, non ha affrontato i grandi nodi del problema Giustizia che ne condizionano i tempi (prescrizione, revisione di molte norme sia sostantive che procedurali, accorpamento delle sedi giudiziarie, etc.), reiterando l’annuncio di voler in futuro introdurre la separazione delle carriere ma limitandosi nel presente a pochi e peraltro controversi provvedimenti. Il dibattito politico si è sostanzialmente concentrato sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio, una proposta che ha diviso le opposizioni ma che certo è ben meno importante dei due aspetti più rilevanti e più negativi del progetto di riforma avanzato da Nordio: l’inappellabilità da parte dell’accusa delle sentenze di assoluzione in primo grado, e i limiti posti alla custodia cautelare e all’uso delle intercettazioni. Due aspetti su cui le opposizioni non hanno concentrato sufficientemente la loro attenzione, preferendo il ben meno rilevante tema dell’abuso d’ufficio.

Nel primo caso la proposta di Nordio lede il principio costituzionale della parità tra accusa e difesa, che traduce nel giudizio il principio stesso di eguaglianza che è uno dei fondamenti della nostra Costituzione. La proposta di Nordio richiederebbe dunque una norma di revisione costituzionale di ben difficile approvazione. Nel secondo caso le proposte di Nordio configurano un obiettivo ostacolo alle indagini delle procure: come pensare che i limiti di tempo posti all’inizio della custodia cautelare non intralcino seriamente le indagini?

Anche se la norma non dovesse applicarsi nel caso di pericolo di fuga, è indubbio che negli altri casi i giorni a disposizione degli indagati a piede libero si tradurrebbero in innumerevoli episodi di inquinamento delle prove, inquinamento che è oggi uno dei presupposti che permettono la custodia cautelare. Si ha l’impressione che l’intero impianto normativo che il guardasigilli vuole introdurre non sia destinato a rafforzare il garantismo, ma a rendere più difficile l’efficace perseguimento dei reati da parte delle procure. Siamo in presenza di una riforma tesa a difendere i cittadini dai soprusi di una giustizia eccessivamente inquisitoria, o siamo alla vendetta postuma nei confronti della magistratura requirente da parte di un segmento della classe politica? Il voler intestare la progettata riforma alla memoria di Silvio Berlusconi non aiuta un sereno esame delle norme che si vuole introdurre, e si aggiunge al sospetto che il magistrato Nordio voglia da ministro intestarsi una rivincita nei confronti dei suoi stessi ex colleghi.

Privata di questi aspetti (inappellabilità delle sentenze di primo grado da parte dei pm; limiti posti alla custodia cautelare e all’utilizzo delle intercettazioni) la riforma Nordio è ben poca cosa, e soprattutto non aggredisce minimamente il principale problema della nostra giustizia: la lentezza del processo civile e penale. Anzi, destinando a un collegio anziché a un giudice monocratico la decisione in materia di arresto cautelare sottrae qualche centinaio di magistrati alla normale attività giurisdizionale. Infine, non intervenendo sull’ordinamento giudiziario - ad esempio accorpando i tribunali minori - non contribuisce minimamente alle carenze di organico. In conclusione, una riforma che appare “vendicativa” piuttosto che migliorativa dei problemi della giustizia. Una riforma più frutto delle tensioni del passato che di una serena valutazione delle necessità del futuro.