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di Francesco Verderami

Corriere della Sera, 15 luglio 2023

Tensioni e problemi con l’alleato leghista, mentre sarà da valutare la reazione di Forza Italia. Nell’estate del 1997 la Bicamerale fu vicina a un accordo bipartisan sulla riforma della giustizia. Ma quando si palesò un’intesa sulla separazione delle carriere, la reazione delle toghe fece saltare tutto.

Anche adesso è la separazione delle carriere il cuore dello scontro, al punto che l’Anm - incurante delle prerogative parlamentari - ha definito questa ipotesi un “pericolo per la democrazia”. Ma al contrario di ventisei anni fa non è alle viste un’immediata revisione sistemica della giustizia. È il governo a prender tempo. La decisione del Guardasigilli di presentare un disegno di legge complessivo “entro fine anno” ha avuto l’effetto di bloccare alla Camera i lavori in commissione sulla separazione delle carriere. Fratelli d’Italia è l’unico partito a non aver depositato una proposta di legge sulla materia. E quanto al resto, come la riforma del Csm, a sentire un esponente dell’esecutivo “al ministero stanno vincendo i magistrati che sono in maggioranza nella commissione delegata a redigere il testo”.

Insomma, la palla è in tribuna. Se e quando verrà rigiocata “dipenderà dall’indirizzo politico che vorrà dare Meloni”, spiega un rappresentante del governo. Ma in questo frangente la premier ha altre priorità e sono molte le ragioni che la inducono a tenere saldo il rapporto con il Quirinale, a condividere la necessità di tenere bassa la tensione. Per quanto (anche) ieri siano stati i magistrati ad agitare le acque. I casi giudiziari che hanno colpito il suo partito, l’approccio cattedratico di Nordio su temi sensibili per un Guardasigilli e il gioco antagonista di Salvini, la inducono a una linea di prudenza. Ha bisogno di tempo. “Da Vilnius ha iniziato intanto a rimettere ordine in casa”, secondo un dirigente di FdI. Dove l’anima giustizialista si affaccia quando si parla di separazione delle carriere: “Farebbe confusione...”.

Eppoi Meloni deve gestire le manovre dell’alleato leghista, che - raccontano dal Consiglio dei ministri - “nei giorni pari fa il forcaiolo e nei giorni dispari si riscopre garantista”. Ieri era un giorno dispari: avendo compreso che sulla giustizia si andrà per le lunghe, Salvini ha definito la riforma “un’urgenza per il Paese. Conto che si passi il prima possibile dalle parole ai fatti”. Il suo approccio situazionista ha un obiettivo: smarcarsi dalla premier, lasciare che si logori e porla davanti a un bivio. Nel caso in cui mirasse infatti a varare il premierato, suggellandolo con un referendum, Meloni dovrebbe decidere se sobbarcarsi anche un referendum sulla separazione delle carriere, assai meno popolare.

La giustizia può produrre reazioni a catena più o meno involontarie nel quadro politico: si vedrà come reagirà Forza Italia in caso di stallo della riforma. C’è un motivo quindi se Renzi ha deciso di spostarsi nella commissione Giustizia al Senato, e se da giorni difende la memoria berlusconiana dalla magistratura. Nel Palazzo è in atto da qualche tempo un’operazione in vista delle urne l’anno prossimo. Al grido di “centristi d’Italia unitevi” si ragiona attorno a una lista che metta insieme gli “europeisti” da Forza Italia a Italia viva, passando per formazioni regionali e movimenti cattolici nazionali, come quello riunito ieri da Fioroni. Renzi, visti i ripetuti “no” di Calenda a varare una lista unica per le Europee, ha risposto alle sollecitazioni con un “ragioniamoci”.

Sembra un’ipotesi irrealistica, perché - sfruttando il proporzionale - dovrebbe mettere insieme pezzi di maggioranza e di opposizione, espressione peraltro di famiglie europee differenti. E in più Tajani, che oggi assumerà la guida di Forza Italia, ha fatto sapere di essere contrario. Eppure qualcosa si muove, se è vero che Moratti si è incaricata di sondare la famiglia Berlusconi e Renzi ne ha fatto cenno con Meloni. Sarebbe un’operazione “non ostile” nei riguardi della premier, alla quale sia Moratti (durante la convention di Assolombarda) sia Fioroni (alla riunione di Tempi Nuovi) hanno lanciato chiari segnali concilianti. Lo snodo è Forza Italia. Ma per Meloni ritrovarsi sull’uscio Renzi non dev’essere tranquillizzante, nonostante lui ripeta che “Giorgia deve durare cinque anni”. C’è già Salvini, c’è la giustizia, c’è tutto il resto. C’è già la campagna elettorale.