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di Donatella Stasio


Il Sole 24 Ore, 1 gennaio 2015

 

Il vice del Csm Giovanni Legnini parla del "protagonismo" delle toghe, dei rapporti con la politica, dei casi Milano e Palermo e della comunicazione "cruciale per la credibilità della giustizia".

Non ci sta a generalizzare l'accusa di "protagonismo" perché i magistrati "hanno diritto di esprimere le loro opinioni fatto salvo il dovere di riservatezza sui procedimenti assegnati" e perché "la corretta comunicazione di iniziative e decisioni giudiziarie è cruciale per il recupero di credibilità e il prestigio della giustizia".

Perciò "sbaglia" chi accusa di "protagonismo" il Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone che, parlando di Mafia-Capitale, ha fatto invece "corretta informazione". Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini - 56 anni, eletto dal Parlamento (in quota Pd) dopo essere stato sottosegretario all'Editoria con il governo Letta e all'Economia con il governo Renzi - affronta in questa intervista i nodi più spinosi di questi primi tre mesi di consiliatura: dal presunto appiattimento del Csm sulla politica al caso Milano, dalla nomina del Procuratore di Palermo alle frizioni tra Renzi e le toghe.

 

Presidente, si fa un gran dire che il conflitto politica-magistratura è alle spalle, che occorre reciproco rispetto, che sulle riforme bisogna cercare ampia convergenza...? e poi il premier, di fronte alle critiche delle toghe, risponde che "l'Anm sarebbe più apprezzata dagli italiani se parlasse con le sentenze, come il 99% dei magistrati", negando che sia un interlocutore (pur rappresentando il 99% dei magistrati). Ma così non si ripropone surrettiziamente la "delegittimazione" delle toghe di berlusconiana memoria?

Fin dall'inizio del mio mandato ho detto che avrei fatto in modo che nei fatti si evidenziasse il ruolo ben distinto di Anm e Csm. Io posso parlare per il Consiglio mentre non posso dire nulla sul vivace scambio di vedute tra Anm e premier. Il Csm ha tra i suoi compiti istituzionali quello di parlare con il governo attraverso pareri e proposte. Lo abbiamo già fatto, sul dl sul civile e sul ddl sulla responsabilità civile dei magistrati, e continueremo a farlo con determinazione e appropriatezza. Devo dire che lo stesso ministro della Giustizia, nel plenum dell'11 novembre, ha sollecitato un rafforzamento di questa nostra prerogativa attraverso la presentazione anche di proposte. Perciò abbiamo deciso di riproporre, dopo 4 anni, la relazione al Parlamento, il cui iter è cominciato il 22 dicembre, che avrà due temi principali: l'organizzazione e le riforme. Quanto alla delegittimazione, ove iniziative legislative fossero lesive delle prerogative dei magistrati, e quindi delegittimanti, noi reagiremmo, perché compito del Csm è anche tutelare il loro prestigio e autorevolezza, beni preziosi per la giustizia e la democrazia.

 

Le critiche argomentate alle scelte del governo non dovrebbero essere considerate una patologia. Eppure la politica continua a rappresentarle come usurpazione di potere e fa pressione per silenziarle o attenuarne i toni, anche con questo Csm. Ma così non si svilisce, tra l'altro, la dialettica istituzionale?

Rivendico il diritto-dovere del Csm di esprimere pareri, perché lo prevede la legge. Ritengo che la polemica sulla "terza Camera" sia datata e archiviata. Va da sé che quando si dà un parere si esprime un consenso o un dissenso. Se c'è stata qualche mia mediazione è stata solo per concentrare le critiche sull'adeguatezza del testo rispetto alle sue finalità e al suo impatto, evitando invasioni sulle diverse opzioni di politica giudiziaria. Se ci manteniamo nel perimetro delle nostre prerogative è probabile che la voce del Csm si riveli più forte e autorevole. Governo e Parlamento potranno non tenerne conto, ma noi vogliamo svolgere questo compito fino in fondo. Quindi: nessun atteggiamento rinunciatario ma volontà di dare un contributo a buone riforme, come quella sulla tenuità del fatto.

 

I rapporti tra Csm e politica sembrano cambiati e tra i laici di centrodestra e centrosinistra prevale un inedito unanimismo. C'è chi parla di appiattimento sulle posizioni di governo. Tra gli "indizi" spicca la singolare maggioranza che ha eletto Francesco Lo Voi Procuratore di Palermo a dispetto dei criteri più volte richiamati nella scelta dei dirigenti (capacità organizzativa in primis). Tutti i laici hanno fatto quadrato, a prescindere da quei criteri, sul candidato di Magistratura indipendente, il cui leader - Cosimo Ferri - è sottosegretario alla giustizia. Più che di condizionamenti correntizi, forse si tratta di condizionamenti politici?

Assolutamente no. Escludo categoricamente qualunque ingerenza, mio tramite o tramite altri laici, del governo e delle parti politiche sulle scelte fatte e future. Altra cosa è il ruolo dei laici eletti dal Parlamento. Sì, noi stiamo favorendo un punto di vista dialettico e autonomo dei laici anche per corrispondere di più all'ispirazione costituzionale sulla composizione del Csm e perché questa autonomia di pensiero e di proposta della componente laica può costituire il lievito per superare le pratiche deteriori del correntismo. La dimostrazione è proprio il caso-Palermo: dissi con chiarezza che qualora non fosse maturata una larga intesa sul capo della Procura - e non è un mistero che io abbia lavorato in modo trasparente per una soluzione largamente condivisa - di fronte alla persistente divisione delle tre componenti togate il punto di vista dei laici sarebbe risultato decisivo. E così è andata e io rivendico di aver garantito la correttezza del confronto e del voto su questa importante scelta.

 

Resta il fatto che Lo Voi, senza nulla togliere al suo curriculum ineccepibile, non ha mai ricoperto un incarico direttivo né semidirettivo, ha fatto il Pm solo per 7 anni su 30 di carriera, non fa indagini da 17 anni, svolgeva un'esperienza fuori ruolo in Eurojust (nominato dallo stesso governo che ha voluto Ferri sottosegretario), non ha un'esperienza antimafia paragonabile a quella di Sergio Lari e Antonio Lo Forte, la cui storia professionale meritava forse maggiore riconoscimento. Sembra che tutte le regole siano saltate alla prima nomina politicamente sensibile.

Segnalo che la valutazione sulle elevate qualità dei tre candidati ha accomunato l'intero Csm, che in commissione li ha selezionati. Se ci fosse stata una preclusione regolamentare su Lo Voi, bisognava rilevarla prima di portare la sua candidatura in plenum. Poiché io non sono lo sponsor né di Lo Voi né degli altri candidati, posso dire che trovo singolare, a proposito della valutazione curriculare e del rispetto delle regole, che non si valuti o si valuti in modo riduttivo che Lo Voi abbia rappresentato l'Italia nell'organismo europeo di cooperazione giudiziaria e coordinamento investigativo di gran lunga più importante che c'è, anche nella lotta alla criminalità organizzata. E trovo singolare che nel momento in cui le mafie si globalizzano, si dica che il candidato con maggiore comprovata esperienza internazionale sulla lotta alla criminalità organizzata non sia adeguato. Il confronto non è stato tra chi ha avuto un'importantissima esperienza sul campo nelle indagini antimafia - cosa di cui siamo grati a Lo Forte e a Lari - e un candidato che non ha fatto nulla in materia. Ma è stato tra i due suddetti candidati e un magistrato che ha acquisito quella caratura internazionale di cui dicevo prima.

In sostanza: vale di più aver svolto la funzione di capo di un'importante Procura o quella di membro di Eurojust? Si possono avere opinioni opposte ma non si può dire che la comparazione è con il niente. Sono esperienze diverse che legittimavano tutte le candidature.

 

Lo ha detto prima: lei ha mediato affinché il prescelto avesse un ampio consenso. Non è andata così. La considera una sua personale sconfitta? Inoltre, se i togati di Area avessero votato Lo Forte, com'erano disposti a fare, si sarebbe andati in parità e il suo voto sarebbe stato decisivo: per chi avrebbe votato tra Lo Forte e Lo Voi?

La convergenza di Area sul candidato di Unicost - Lo Forte - si è verificata solo con la seconda dichiarazione di voto, quando gli orientamenti erano già definiti. In secondo luogo, ove il mio voto fosse risultato decisivo, lo avrei espresso assumendomi una responsabilità importante, ma non le dirò chi avrei votato. Infine, non ritengo affatto un insuccesso il tentativo di mediazione, che anzi, pur essendo stato infruttuoso, ha finito per rafforzare la scelta che il Csm, in piena libertà, ha compiuto nominando un Procuratore con la maggioranza assoluta dei voti e all'esito di un confronto serrato e appassionante. Oggi (ieri, ndr) Lo Voi si è insediato - a lui e a tutta la Procura di Palermo faccio gli auguri - e questo è un successo del Csm perché c'era bisogno di una decisione tempestiva e trasparente.

 

Il caso-Palermo ripropone il conflitto di interessi di chi è insieme magistrato leader di un gruppo (in questo caso, Mi) e membro del governo. Il caso-Ferri, che qualche mese fa - stando alle dichiarazioni del premier e del guardasigilli - sembrava dovesse risolversi con il "licenziamento" del sottosegretario e che ha avuto grande risonanza mediatica, è ancora lì, irrisolto, nell'indifferenza generale. Le sembra politicamente coerente?

Sarebbe davvero eccessivo, a proposito della distinzione tra poteri, che io mi esprimessi sull'asserito conflitto di interessi del sottosegretario Ferri. Non posso e non voglio farlo. Posso solo dire che quando si tratta di acquisire la volontà del gruppo di Mi, mi confronto esclusivamente con i togati di Mi e con il loro portavoce Claudio Galoppi, non con il sottosegretario Ferri.

 

Il Capo dello Stato ha ricordato che è la legge ad aver accentuato il ruolo gerarchico del Procuratore della Repubblica, cui spetta il potere-dovere di organizzazione della struttura, di assegnazione degli affari nonché di uniforme esercizio dell'azione penale. Ruolo che però il Csm fatica a riconoscere, con ricadute anche paradossali, come nello scontro Bruti-Robledo a Milano. Non crede che questa "resistenza" abbia contribuito a gettare discredito sulla Procura e chi la guida?

Anzitutto condivido il punto di vista del Capo dello Stato, al quale va la mia gratitudine per i suoi preziosi contributi. Nel merito, poiché la "resistenza" c'è, abbiamo deciso di aprire una pratica su questa delicata e importante questione per definire un orientamento interpretativo e regolamentare. Spero che nelle prossime settimane la commissione incaricata produca le sue conclusioni da sottoporre al plenum. Poi, certo, c'è il versante di una possibile modifica legislativa e anche su questo ci faremo carico di formulare proposte. Il tema non è banale perché l'assetto verticistico delle Procure è una scelta legislativa acclarata ma l'autonomia interna dei Procuratori spesso produce un'effettiva tensione con il Procuratore capo. Se il Pm ha totale autonomia investigativa, esterna e interna, come si concilia questa autonomia con i poteri organizzativi penetranti del capo dell'ufficio? È dentro questo conflitto funzionale che si posizionano i diversi punti di vista che proveremo a comporre.

 

Caso-Milano: lei ha tentato una mediazione con Bruti e Robledo. Come pensava di risolvere bonariamente il caso?

Anzitutto la mediazione è ancora in corso. La prima commissione è infatti convocata il 12 gennaio per decidere se avviare la procedura di trasferimento d'ufficio, per uno o per entrambi. Va da sé che ove il mio tentativo dovesse avere esito positivo, la procedura si arresterebbe.

 

Avrà letto le motivazioni con cui la Procura generale della Cassazione ha archiviato le incolpazioni contro Bruti sul caso-Ruby, escludendo gli addebiti che, indirettamente, gli muoveva il Csm. Su quella base, com'è pensabile un trasferimento d'ufficio di Bruti?

I profili disciplinari di questa vicenda sono stati, per una parte consistente, definiti con l'archiviazione. Per un'altra parte sono ancora all'esame del Pg, che deve decidere se promuovere l'azione disciplinare nei confronti di uno o di entrambi. Dopodiché, ove in ipotesi ci fosse il rinvio a giudizio in sede disciplinare, per questo o quel fatto contestato, il procedimento di trasferimento d'ufficio potrebbe fermarsi. Staremo a vedere.

 

Il "protagonismo" dei magistrati sembra una piaga della magistratura, a giudicare dalla frequenza con cui viene evocato e dal risalto mediatico. È un'accusa pesante, che forse andrebbe circostanziata, con nomi e cognomi, per non generalizzare ed evitare che diventi una sorta di anatema preventivo, e al tempo stesso un alibi, quando invece sarebbe importante, persino doveroso, comunicare meglio il proprio lavoro, senza violare doveri di riservatezza o di indagine. Il problema di una comunicazione della giustizia più trasparente, veloce e comprensibile per i cittadini è reale, ma non rischia di essere archiviato "grazie" all'anatema/alibi del "protagonismo"?

Il rapporto tra giustizia e comunicazione, ovvero la corretta comunicazione delle iniziative e delle decisioni giudiziarie, è cruciale per il recupero di credibilità e il prestigio della funzione giurisdizionale. L'intero Csm condivide la necessità di affrontarlo e di pervenire a una qualche autoregolamentazione per definire modalità comunicative corrette e tempestive. I recenti casi eclatanti di processi di fortissimo impatto mediatico e sull'opinione pubblica - Eternit, Cucchi, L'Aquila, Bussi - ne sono una dimostrazione evidente. Sono stati scritti centinaia di articoli e commenti senza che a tutt'oggi si conoscano le motivazioni delle decisioni. Il che costituisce una patologia nel rapporto tra l'esito dei processi e il diritto/dovere dell'informazione. Detto questo, sul protagonismo condivido che generalizzare è un errore, anche se casi di protagonismo eccessivo si sono verificati e sono deprecabili. I magistrati hanno diritto, al pari di altri cittadini, di esprimere le loro opinioni ma devono osservare il principio di riservatezza sui procedimenti loro assegnati, almeno fino alla decisione definitiva.

 

Il Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, anche in una lunga intervista al Sole 24 Ore, ha spiegato i contenuti, anche tecnici, dell'inchiesta mafia-capitale: secondo lei ha peccato di protagonismo, come dice qualcuno?

Assolutamente no. Ho letto e molto apprezzato l'intervista in cui il Procuratore Pignatone ha fornito corrette informazioni sugli atti del procedimento, che sono ampiamente pubblici, nel senso che sono nella disponibilità delle parti e che voi giornalisti avete potuto leggere per intero. Il Procuratore Pignatone ha fatto una corretta informazione, che è cosa molto diversa dal protagonismo.

 

Il giudice Esposito - presidente del collegio della Cassazione che ha condannato Berlusconi nel processo Mediaset - è stato prosciolto dalla Sezione disciplinare dall'accusa di aver violato il dovere di riserbo. Senza anticipare la motivazione, si può dire che il Csm ha riconosciuto l'esigenza di comunicazione di cui si era fatto carico Esposito per spiegare alla stampa una decisione che stava suscitando letture distorte?

Se rispondessi prima del deposito della sentenza, avendo presieduto la Sezione disciplinare, incorrerei nell'errore del giudice Esposito.

 

Che però è stato prosciolto...

Vero. Ma non c'è dubbio che Esposito abbia commesso un errore, al di là dell'esito del procedimento, nel quale abbiamo approfondito molto il tema della comunicazione dell'ufficio giudicante dopo la lettura del dispositivo e prima del deposito della motivazione. La Cassazione ha da tempo trovato una modalità di comunicazione interna, rappresentata dalla cosiddetta "informazione provvisoria", ovvero una motivazione sintetica che anticipa la motivazione. Ecco, un rafforzamento di tale modalità di esternazione delle sentenze potrà evitare, in futuro, il ripetersi di casi come quello di Esposito. Dopodiché abbiamo attentamente ascoltato le registrazioni del colloquio tra Esposito e il giornalista che lo ha intervistato, e con il deposito della sentenza si chiariranno le puntuali ragioni della decisione.

 

Il ministro Orlando ha preso solennemente degli impegni davanti al Csm: assumere 1.000 cancellieri, visto che gli uffici giudiziari sono al collasso, garantire un'uscita graduale delle toghe prepensionate in funzione dei nuovi ingressi in magistratura. Ma il concorso dei cancellieri è di là da venire; quello per 300 nuovi giudici è alle primissime battute e di scaglionamento delle uscite non se ne parla. Non crede che di questi impegni un ministro debba rendere conto? Lei è disposto a chiedergliene conto?

Abbiamo ascoltato e apprezzato gli impegni assunti dal guardasigilli. Il tema dell'organizzazione, che per larga parte spetta al ministro della Giustizia, lo consideriamo centrale, anche nell'attività del Csm. Vogliamo che la magistratura e il Csm siano parti attive nella diffusione delle "buone pratiche". La carenza di personale amministrativo è nota da tempo ed è grave. Ho informalmente fatto una proposta al governo e al ministro: si approvi una norma che favorisca la mobilità di 5mila dipendenti delle Province agli uffici giudiziari, prevedendo un'adeguata formazione anche per far decollare l'ufficio del processo e lo sviluppo del processo civile telematico. In questo modo risolveremmo una parte importante del necessario recupero di efficienza degli uffici visto che, com'è noto, molti Tribunali e Corti potrebbero tenere più udienze per smaltire l'arretrato ma non possono farlo per carenza di personale.

 

 

E sullo scaglionamento delle uscite dei giudici prepensionati?

Da una precisa ricognizione degli incarichi direttivi e semi direttivi da conferire nel prossimo anno e nel triennio successivo risulta che nel 2015 dovremo conferirne circa 500, quasi il triplo della media degli ultimi 8 anni. Abbiamo altresì sollecitato governo e Parlamento a farsi carico non già di rimettere in discussione l'abbassamento dell'età pensionabile ma di articolare il ricambio, il più esteso da sempre, non in uno ma in due anni. Sarebbe un atto di buona amministrazione.