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di Valter Vecellio

lindro.it, 28 luglio 2022

È, più di sempre, l’estate dei suicidi in carcere: ufficialmente si è già raggiunto quota quaranta. Gli esperti e gli studiosi concordano, e gli operatori confermano, per l’esperienza quotidiana che vivono giorno dopo giorno: l’estate più di altre stagioni, e la pandemia che non accenna a diminuire accentuano le situazioni di disagio mentale, apprensione ed ansia; e all’interno delle carceri hanno ripercussioni ancora più gravi.

“Uno Stato che non riesce a garantire la sicurezza del personale e dei detenuti testimonia di aver rinunciato ai suoi doveri civici”, osserva Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria. “L’incapacità è ancora più irresponsabile in questa nuova fase di diffusione della pandemia. Una realtà che segna un trend di contagi in forte aumento in questa estate destinato dunque ad avere conseguenze impattanti e ad aggravare la situazione già di eccezionale emergenza della gestione delle carceri. Sminuire o nascondere la verità può solo portare ad un’ulteriore sottovalutazione e a complicare le problematiche esistenti per la salute della popolazione carceraria e di chi lavora”.

Giustizia, carcere, sono emergenze su cui è calato un inquietante silenzio; una situazione ulteriormente aggravata dalla crisi di Governo che può ormai solo occuparsi del cosiddetto disbrigo “degli affari correnti”; a ciò va aggiunta l’indifferenza delle forze politiche impegnate in una campagna elettorale dove il diritto e i diritti civili non sembrano avere spazio. Tuttavia ci sono scadenze precise, non eludibili. L’8 novembre, per esempio, finisce il tempo concesso dalla Corte Costituzionale per modificare l’ergastolo ostativo. La delega per la riforma penale scade il 19 ottobre; per quella civile il 24 dicembre. In serio rischio i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La domanda da un miliardo di euro è: riuscirà il governo dimissionario a portare a casa i decreti attuativi?

Non sembra che molti abbiano prestato la dovuta attenzione alle parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso dopo lo scioglimento delle Camere: “Alle molte esigenze si affianca quella della attuazione nei tempi concordati del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cui sono condizionati i necessari e consistenti fondi europei di sostegno”.

Lo stesso Mario Draghi è stato chiaro ed esplicito: “Per quanto riguarda la giustizia, abbiamo approvato la riforma del processo penale, del processo civile e delle procedure fallimentari e portato in Parlamento la riforma della giustizia tributaria. Queste riforme sono essenziali per avere processi giusti e rapidi, come ci chiedono gli italiani. È una questione di libertà, democrazia, prosperità. Le scadenze segnate dal Pnrr sono molto precise. Dobbiamo ultimare entro fine anno la procedura prevista per i decreti di attuazione della legge delega civile e penale”. Draghi assicura che “Il governo rimane altresì impegnato nell’attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del PNRR”. Il problema sono i tempi, e soprattutto la volontà politica.

Una vera e propria corsa contro le inesorabili lancette dell’orologio: lo schema di attuazione delle riforme devono innanzitutto arrivare sulla scrivania di Draghi; da lì, al Consiglio dei Ministri; poi l’invio alle Commissioni Giustizia di Camera e Senato per i pareri non vincolanti entro sessanta giorni; infine la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale; il tutto, come si è detto, entro il 19 ottobre per il “penale”; il 24 dicembre per il “civile”.

Volontà politica, si diceva. Movimento 5 Stelle e Lega, già prima dell’apertura della crisi, avevano manifestato l’intenzione di non accettare a scatola chiusa gli elaborati governativi nati da via Arenula. Nulla fa pensare che abbiano mutato opinione, anzi… Avranno da far sentire la loro voce anche i vertici dell’Associazione Nazionale dei Magistrati e dell’Unione delle Camere Penali: entrambi i “sindacati” hanno già fatto sapere che vogliono essere ascoltati dalle Commissioni Parlamentari. Senza entrare nel merito delle loro proposte e osservazioni, sarà comunque un’ulteriore dilatazione dei tempi. Non mancheranno le richieste di modifiche e di “ritocchi”. Come e quanto incideranno, se accolti, con l’impianto generale? E quali reazioni, se non saranno accettate dal Governo?

Ancora più impantanata, se possibile, la riforma del carcere. L’apposita commissione presieduta dal professor Marco Ruotolo ha inviato una sua pregevole relazione al ministro della Giustizia Marta Cartabia. Il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria ha elaborato circolari in linea con le direttive della commissione. Ma ora? Si tratta di mettere in cantiere sostanziose riforme del regolamento penitenziario. Una revisione, osserva il professor Ruotolo che non rientra nell’ambito “del disbrigo degli affari correnti”.

Dunque? Ennesima occasione mancata per il miglioramento della qualità della vita negli istituti penitenziari? Tutto lo fa pensare. Ruotolo auspica “che le azioni amministrative suggerite dalla mia Commissione, alcune delle quali già intraprese, siano portate avanti. E spero che le revisioni del regolamento siano riprese dal prossimo Governo, insieme alle altre proposte suggerite nel nostro documento”. Un governo a trazione Meloni-Salvini-Berlusconi, come tutti danno per scontato?

Ancora più ardua la riforma dell’ergastolo ostativo. La Corte Costituzionale ha posto l’8 novembre come data ultima per l’approvazione di una nuova legge. Impresa praticamente impossibile. A questo punto due le possibili strade: un nuovo rinvio, e sarebbe il terzo; oppure la Corte scioglie il nodo dichiarando incostituzionale l’ergastolo ostativo. A questo punto Parlamento e forze politiche sarebbero con le spalle al muro.