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di Ezia Maccora*

La Stampa, 7 luglio 2023

Nel cantiere sempre aperto della giustizia penale si annuncia una nuova riforma che rischia di paralizzare seriamente gli uffici gip-gup impegnati a ridurre i tempi dei processi e contribuire a raggiungere gli obiettivi del Pnrr. Un intervento settoriale espressione di una bulimia legislativa già conosciuta. Ogni ministro (governo) propone la propria ricetta salvifica senza aver effettuato uno studio né dell’impatto di quanto proposto né degli esiti delle riforme già attuate. Nel nuovo ddl, ad esempio, si interviene in materia di intercettazioni telefoniche senza alcun studio sugli effetti prodotti dalle riforme del 2017 e 2020. Il nuovo intervento mira a rafforzare ulteriormente la tutela del terzo estraneo al procedimento, già considerata nell’attuale normativa che ha raggiunto un ragionevole punto di equilibrio tra esigenze di riservatezza e investigative. Dal punto di vista dell’efficacia del mezzo di ricerca della prova l’intervento riformatore non sembra creare particolari problemi dal momento che il giudice potrà sempre utilizzare il contenuto intercettato se esso è considerato rilevante. Rischia invece di creare tensioni con l’informazione e le sue prerogative, essendo affidato al giornalista un controllo sociale esterno per garantire la trasparenza dell’agire pubblico e potendo in futuro pubblicare solo ciò che è menzionato dal giudice nei suoi provvedimenti o che è utilizzato in sede dibattimentale. Una tensione poco comprensibile se si considera che il garante della privacy ha segnalato che dal 2020 non vi sono state violazione e tutto si è svolto nel rispetto delle norme. Un intervento tra l’altro intempestivo dato che la commissione giustizia del Senato ha avviato una indagine conoscitiva in tema di intercettazioni e i relativi lavori sono in fase molta avanzata. Così come sull’abuso d’ufficio, la scelta del ministro della Giustizia è stata quella di proporne l’abolizione, senza considerare l’intervento del 2022 che ha opportunamente ristretto l’ambito di operatività della norma stabilendo che non sono più penalmente rilevanti le condotte che rispondono all’esercizio di un potere discrezionale. Diventeremo l’unico Paese, tra i 22 stati membri dell’Unione, a non avere tale reato. In realtà oggi oltre il 95% dei procedimenti si conclude con un decreto di archiviazione ed è quindi la stessa magistratura ad operare un’approfondita selezione degli abusi penalmente rilevanti. Rimane sullo sfondo il rapporto non positivo tra i cittadini e la pubblica amministrazione, testimoniato dal numero elevato degli esposti/denunce che evidenzia la profonda insoddisfazione per l’inefficienza della pubblica amministrazione. È stato annunciato anche un ulteriore intervento sulla prescrizione, istituto modificato ben tre volte negli ultimi dieci anni, da ultimo con la riforma Cartabia, ma ancor prima, con la “riforma Orlando” e con la “riforma Bonafede”. La strategia del cantiere sempre aperto della giustizia penale è in azione, nonostante la sensibilità e importanza del settore richiederebbe di tenerlo fuori da logiche di parte e di formazione del consenso.

La vera priorità per la giustizia continua a essere la ragionevole durata dei procedimenti. Ne abbiamo un riscontro recente nella decisione della Cepej che il 16 giugno 2023 ha adottato un nuovo strumento per aiutare i Paesi a ridurre l’arretrato giudiziario e tendere alla ragionevole durata. Un piano strategico d’intervento rivolto a tutti gli Stati membri che sembra andare in controtendenza con l’atteggiamento del nostro legislatore che si appresta a varare ulteriori riforme senza valutare che oggi gli uffici giudiziari sono tutti seriamente impegnati alla attuazione degli obiettivi del Pnrr, che per il settore penale, prevedono una riduzione del 25% dei tempi dei processi. Al riguardo la norma più dirompente per l’organizzazione degli uffici giudiziari è quella che introduce la valutazione collegiale in caso di applicazione della misura cautelare custodiale.

Una norma innanzitutto discutibile se si considera la filosofia di fondo dell’attuale codice di procedura penale che consente al giudice monocratico la decisione sulla responsabilità penale per reati puniti con una pena massima non superiore ai dieci anni di reclusione e nel caso di rito abbreviato o di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. anche per reati puniti con pene maggiori. Una previsione del tutto irrealizzabile se si considera l’attuale scopertura dell’organico della magistratura, ampiamente superiore al 15% e destinata ad aumentare visti i pensionamenti in corso e i tempi non brevi per l’ingresso dei nuovi magistrati.

Se la mini riforma diventerà legge occorreranno scelte organizzative che rivoluzioneranno gli uffici senza ottenere alcun utile risultato sui tempi di risposta che potranno solo aumentare. Un domani, nel giudizio cautelare, quello che oggi è evaso da un solo giudice richiederà la presenza di tre giudici, in contrasto con l’esigenza di velocità dell’intervento giudiziario che contraddistingue l’altro ddl - quello cosiddetto di completamento del codice rosso- presentato dal ministro Carlo Nordio in materia di violenza di genere pochi giorni prima di quest’ultimo.

Né appare risolutivo l’aumento di organico previsto dal ddl, su cui non vi è stata ancora la bollinatura del Mef, perché se il concorso fosse bandito nel 2023 prima dell’inizio del 2026 non si avrebbe l’ingresso di nuovi magistrati. Così come ingestibile è la previsione che un giudice di Milano debba recarsi a Lodi o a Busto Arsizio o a Varese per decidere una misura cautelare o un aggravamento. Si rischia seriamente la paralisi degli uffici. La stessa attuazione della riforma Cartabia, indispensabile per raggiungere gli obiettivi del Pnrr, verrebbe seriamente compromessa.

L’ufficio milanese ha definito nel 2022: 43.442 decreti di archiviazione-noti, 5.005 sentenze di rito alternativo, 2303 decreti penali di condanna e 5.607 decreti che dispongono il giudizio. E, nei primi sei mesi del 2023, in attuazione della riforma Cartabia, vi è stato un aumento del 30% circa delle sentenze di proscioglimento. Dati particolarmente significativi della funzione, anche deflattiva, svolta da questi uffici, che difficilmente potranno sopportare le modifiche organizzative che il ddl richiede che, se diventerà legge, metterà nel nulla gli sforzi in atto per conseguire gli obiettivi del Pnrr e ottenere la ragionevole durata dei procedimenti su cui è impegnata anche la Cepej.

*Presidente aggiunta Gip Milano