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di Luigi Migliorini

Corriere del Veneto, 23 luglio 2023

Il ministro Nordio in pubbliche “esternazioni” ha affermato che intende far approvare la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e Pubblici ministeri, ma che la tempistica è lunga perché occorre una modifica alla Costituzione. In realtà per la “sola” separazione non c’è nessuna necessità di riforma costituzionale: l’unico articolo della Costituzione che cita i Pubblici ministeri è il 107, “il Pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dall’ordinamento giudiziario”.

In realtà il vero scopo - e Nordio con l’onestà intellettuale che lo caratterizza non lo cela - è intervenire sull’articolo 112: “Il Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Si vorrebbe trasformare l’azione penale in facoltativa, prendendo ad esempio gli Stati Uniti che, secondo me, non vanno imitati, non solo perché insistono nella pena di morte (dall’inizio dell’anno eseguite sei) ma in quanto i capi degli uffici del Pubblico ministero vengono, perlopiù, nominati a seguito di elezione popolare e si scelgono, come vogliono, i sostituti, spesso tra avvocati che così cambiano ruolo.

Alcuni lustri fa, il dirigente di un’azienda agricola fu sottoposto a misura cautelare per gravi reati, immediatamente interrogato e chiarita la sua posizione fu subito liberato, ma mi disse che “disgustato” per l’accaduto aveva accettato di trasferirsi negli Usa. Dopo qualche mese ritornò in Italia e mi raccontò che una notte, alla guida di un’auto, inavvertitamente aveva tenuto un comportamento che in Italia sarebbe stato violazione del Codice della strada: lì era stato raggiunto da due poliziotti che l’avevano ammanettato e portato in cella. Il giorno dopo il suo datore di lavoro aveva pagato la cauzione e ciò gli consentì di tornare libero.

Però concluse: “Meglio l’Italia!”. Faccio mia, su tutta la linea l’affermazione. Peraltro Nordio sottovaluta l’articolo 3 della Costituzione relativo ai diritti fondamentali dei cittadini, tra cui l’affermazione che “sono uguali davanti alla legge”. L’eguaglianza sarebbe lesa se, a seguito della discrezionalità dell’azione penale, di due cittadini indiziati dello stesso reato, uno fosse processato e l’altro no.