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di Raffaele Cantone

La Repubblica, 12 giugno 2023

Eliminarlo indebolirebbe il già difficile contrasto alla corruzione. Si rischierebbe di privare la magistratura di uno strumento di deterrenza contro gli illeciti. Il ministro Nordio, parlando delle riforme sulla giustizia, ha affermato che la materia rientra nelle prerogative del Parlamento e che quest’ultimo deciderà senza farsi più di tanto influenzare dal chiacchiericcio riversato sui media. Il ministro ha ragione; in una democrazia compiuta è il Parlamento che legifera: lo fa prendendo anche scelte politiche chiare e assumendosi le responsabilità di esse.

In democrazia, però, soprattutto sulle leggi più importanti è opportuno si apra un dibattito preventivo ed è diritto, anzi credo persino un dovere civico, provare a parteciparvi evidenziando eventuali idee. Ritengo sia importante farlo nella fase della discussione pubblica, senza farsi strumentalizzare da logiche di tipo politico.

In questa ottica, quindi, vorrei dare il mio contributo al dibattito sulla riforma dell’abuso d’ufficio, che il ministro ha annunciato come imminente e che dovrebbe giungere, da quanto si legge quotidianamente, alla totale abrogazione del delitto. Rispetto a questa solo eventuale ipotesi, vorrei mettere a disposizione non considerazioni dottrinarie ma dati tratti dall’esperienza pratica. Dirigo una Procura medio piccola (quella di Perugia) che ha però una competenza importante in materia di reati contro la pubblica amministrazione, perché si occupa anche di quelli contestati a magistrati del distretto di Roma.

Il Parlamento ci ha richiesto le statistiche delle iscrizioni nel registro degli indagati per abuso di ufficio. Io le conoscevo abbastanza bene ma è stato molto interessante rileggerle. Gran parte (oltre l’80%) dei processi avviati per abuso si sono chiusi con richiesta di archiviazione: questi ultimi sono stati definiti quasi tutti senza nemmeno che l’indagato fosse stato a conoscenza dell’esistenza delle indagini, rimaste segrete. Si potrebbe commentare facilmente questi numeri sostenendo “perché stracciarsi le vesti per un reato quasi inutile?”. In effetti, soprattutto dopo la riforma, passata sotto traccia perché approvata in un decreto sulla pandemia del 2020, il reato ha spazi applicativi limitatissimi. Allo stesso tempo però resta di grande utilità.

In primo luogo, non mi sembra corretto giudicare l’utilità di un reato solo per le eventuali condanne. Anche le assoluzioni o archiviazioni infatti sono importanti: dimostrano quantomeno che la pubblica amministrazione si è comportata correttamente. Ma la sua principale utilità è un’altra e sta nella natura di “reato spia” della corruzione. Siccome, per esperienza consolidata, le denunce per fatti di corruzione sono rarissime, a questo reato si arriva solo grazie alle indagini partite da altri episodi e soprattutto da quelle relative a presunti abusi nello svolgimento dell’attività amministrativa.

All’interno delle fredde statistiche emergono alcuni casi (di cui si può fare cenno sia pure genericamente perché non coperti dal segreto) in cui, partendo da un abuso di ufficio in cui si ipotizzava un conflitto di interesse del funzionario pubblico, si è riusciti a far emergere possibili fatti di corruzione e, in un caso, anche una contestazione gravissima che vedeva coinvolto un magistrato. Pochi casi, si potrebbe dire, non possono giustificare il mantenimento in vita della fattispecie. Ribalterei, però, l’argomento. Senza le indagini avviate per abuso di ufficio nemmeno queste corruzioni sarebbero emerse.

E allora credo si possa sommessamente affermare nel rapporto costi/benefici che eliminare l’abuso di ufficio non servirebbe più di tanto a far scomparire la cosiddetta “paura della firma” dei decisori amministrativi che blocca la macchina amministrativa. Essa dipende in verità da tanti altri fattori, anche perché, come nei casi ricordati, i funzionari pubblici non hanno nemmeno saputo del procedimento e quindi non avevano nulla di cui impaurirsi.

Avrebbe, invece, purtroppo come effetto indiretto ma certamente deleterio quello di indebolire il già particolarmente difficile contrasto alla corruzione. Si rischierebbe di privare la magistratura di uno strumento di deterrenza contro gli illeciti proprio nel momento in cui alla pubblica amministrazione viene affidata la gestione delle risorse straordinarie del Pnrr, vitali per il futuro del Paese.