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di Silvia Barocci e Andrea Bassi

 

Il Messaggero, 4 gennaio 2015

 

Nel decreto sulla certezza del diritto approvato dal governo spunta una norma che prevede la non punibilità penale per chi evade tasse inferiori al 3% del reddito. E scoppia il caso. Secondo alcune interpretazioni, questa franchigia potrebbe essere applicata anche alla sentenza Mediaset che ha portato alla condanna dell'ex premier Silvio Berlusconi, annullandola.

L'ira di Matteo Renzi: il presidente del Consiglio impone ai suoi di cambiare la norma in Parlamento. La norma, appena venuta alla luce, è già senza padri. Chi ha lavorato al dossier, al Tesoro, non ne avrebbe avuto conoscenza fino all'ultimo.

A Palazzo Chigi quelcomma19-bis spuntato in zona Cesarini nel decreto ribattezzato da Matteo Renzi "certezza del diritto" appena pubblicato sul sito della Presidenza, avrebbe fatto infuriare lo stesso premier. Un articolo di sole quattro righe che rende immune da conseguenze penali chiunque evada le tasse per un ammontare non superiore al 3 per cento dei redditi dichiarati. E questo anche, è la novità, nel caso delle frodi fiscali e delle false fatturazioni.

Una dicitura che ha fatto scattare un campanello d'allarme anche all'Agenzia delle Entrate, da sempre contraria a sconti per chi evade le tasse attraverso metodi fraudolenti. Scritta in questo modo, del resto, la norma potrebbe chiudere numerosi conti dei contribuenti con il Fisco.

Non solo. Potenzialmente potrebbe avere effetti anche politici. Secondo alcune interpretazioni, la franchigia del 3 per cento sulle frodi fiscali, potrebbe essere applicata anche alla sentenza Mediaset che ha portato alla condanna a quattro anni (di cui tre condonati) di Silvio Berlusconi. Nel processo che si è chiuso in Cassazione nell'estate del 2013, l'ex Presidente del Consiglio è stato condannato per una frode fiscale di 7,3 milioni per gli anni 2002 e 2003. Siccome l'ammontare complessivo delle tasse versate in quello stesso periodo da Mediaset è stato di 381,5 milioni, la percentuale di evasione sarebbe dell'1,9 per cento, inferiore al 3 per cento previsto dalla nuova franchigia del decreto. Se questa interpretazione fosse corretta, Berlusconi potrebbe chiedere un incidente di esecuzione e la cancellazione della condanna.

Ma Renzi è pronto a bloccare tutto. "Non ne sapevo niente", avrebbe detto ai suoi collaboratori, "ma se è così pronto a bloccare tutto". Anche i legali del Cavaliere hanno dubbi. Niccolò Ghedini dà, per esempio, un'interpretazione restrittiva, sostenendo che il comma inserito dal governo "non riguarderebbe le frodi fiscali ma solo l'infedele dichiarazione".

Il sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti, uno dei maggiori esperti di questioni tributarie, spiega invece che, a suo avviso, "sarà necessario cambiare in Parlamento la norma prevedendo esplicitamente l'esclusione delle frodi fiscali dalla franchigia del 3 per cento". Più esplicito David Ermini, responsabile giustizia del Pd: "nel passaggio in Commissione escluderemo i reati di frode fiscale dalla norma". In realtà il decreto del governo inserisce molte altre regole con l'obiettivo di dare maggiore certezza alle imprese nei rapporti con il Fisco, limitando l'intervento dei giudici solo ai casi più gravi.

Per esempio, per chi salda i debiti con le Entrate prima che il giudizio penale entri nella fase del dibattimento, il provvedimento prevede comunque l'estinzione del reato penale. Una norma che se fosse stata in vigore avrebbe chiuso sul nascere molti casi di imprese finite nelle maglie del Fisco e in quelle delle procure. Così come nel testo è stata introdotta una precisa definizione dell'abuso del diritto, la principale fattispecie di elusione.

I contribuenti saranno liberi di scegliere tra più regimi fiscali, quello per loro più conveniente e, in ogni caso, l'elusione non sarà più considerata un reato penale. "Con questa norma", spiega il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri, "si codifica un principio di lealtà sostanziale nel rapporto tra fisco e contribuente, un principio di prevalenza della sostanza sulla forma".

 

Ghedini smentisce: le misure non si applicano al leader Fi

 

L'interpretazione del diritto già di per sé è una strada che non conosce certezze granitiche e, anzi, molte deviazioni. Figuriamoci se l'interpretazione riguarda una norma non ancora definitiva - perché mancano i pareri delle commissioni parlamentari competenti - e che sarebbe stata inserita in extremis al decreto legislativo sulla "certezza del diritto" approvato a Palazzo Chigi la vigilia di Natale.

Arrivati a metà del testo, in molti si sono chiesti se di quella norma possa beneficiare o meno Silvio Berlusconi, che sta scontando una condanna definitiva a quattro anni (di cui tre coperti da indulto) per frode fiscale nel processo Mediaset. A questi vanno aggiunti i due anni di interdizione dai pubblici uffici come pena accessoria e i sei anni di incandidabilità previsti dalla cosiddetta legge Severino. La norma sospettata, introducendo l'art.19 bis al decreto legislativo del 2000 in materia di reati tributari, prevede una specifica causa di esclusione di punibilità: "Per i reati previsti dal presente decreto, la causa è comunque esclusa quando l'importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al tre per cento dell'imponibile dichiarato o l'importo del valore aggiunto evasa non è superiore al tre per cento dell'imposta sul valore aggiunto dichiarata".

Cosa significa? Può riguardare o no la frode fiscale per cui l'ex premier è stato condannato? "Assolutamente no, non riguarda Berlusconi - dice il suo avvocato Niccolò Ghedini. Questo articolo si riferisce solo all'infedele dichiarazione". Ma per molti esperti di diritto la norma, così scritta, si applicherebbe anche alle false fatturazioni e alla frode fiscale. Che nel caso specifico di Berlusconi sarebbe al di sotto della prevista soglia del 3%. Anche se la condanna di Berlusconi è già passata in giudicato, l'ex Cavaliere può beneficarne comunque? La risposta è sì. Grazie all'incidente di esecuzione, un istituto che già nel 2003 ha consentito a Cesare Romiti di vedere revocata la sentenza di condanna a 11 mesi che la Cassazione gli aveva inflitto nel 2000: nel frattempo, infatti, era stato depenalizzato il reato di falso in bilancio e dunque la Corte di Appello di Torino non aveva potuto far altro che revocare la condanna in quanto il fatto sulla base del quale era stata emessa la sentenza non era più previsto dalla legge come reato. Le strade che si aprirebbero a Berlusconi - sempre che la norma sia interpretabile a suo favore o che non venga cambiata - sono molte.

I benefici sarebbero pressoché irrilevanti sulla pena da scontare: il periodo di affidamento ai servizi sociali dell'ex premier presso l'istituto Sacra famiglia di Cesano Boscone scadrà infatti a breve, il prossimo febbraio. La più grande vittoria sarebbe un'altra, tutta politica. Perché oltre alla pena principale verrebbe cancellata anche quella accessoria (i due anni di interdizione dai pubblici uffici) assieme agli effetti penali della condanna. Questi ultimi altro non sono che i sei anni di incandidabilità previsti dall'art. 13 della cosiddetta legge Severino che già gli aveva fatto perdere il titolo di senatore. E così l'ex Cavaliere tornerebbe in sella.