sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giovanni Bianconi

Corriere della Sera, 1 ottobre 2023

Il ministro al congresso delle “toghe rosse” a Palermo. Albamonte, segretario uscente di Area: l’accusa finirà per dipendere dall’esecutivo. Il sostegno di Schlein e Conte alla corrente progressista (ma loro quasi si ignorano).

La battuta d’esordio l’aveva preparata da giorni: “Mi è venuto in mente quello che De Gasperi disse al Conferenza di Parigi dopo la guerra: “Qui dentro tutto sembrerebbe ostile tranne la vostra personale cortesia”; spero che non sia così”. È un auspicio ambizioso, quello del ministro della Giustizia Carlo Nordio che interviene al congresso di Area, la corrente che insieme a Magistratura democratica rappresenta la sinistra giudiziaria: il cuore dell’opposizione togata alle politiche del governo in materia di giustizia, che il Guardasigilli rivendica in quanto espressione del mandato popolare esercitato da chi ha vinto le elezioni. Lui, pubblico ministero in pensione, ha partecipato all’ultima competizione chiamato in Parlamento da Giorgia Meloni che l’ha scelto come ministro. Però dice: “Sono ancora convinto di sentirmi la toga addosso”.

Da ex magistrato ribadisce che l’obiettivo del governo è “dare efficienza alla giustizia”, e sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri - contenuta nel programma di governo e osteggiata da pressoché tutte le toghe - rivolge quasi una preghiera all’assemblea: “Per me sarebbe una bestemmia e un’eresia pensare che la magistratura, sia giudicante che inquirente, possa un domani finire sotto il controllo del potere esecutivo o di altri poteri estranei alla sua indipendenza. Vi supplico di considerare sincera questa assicurazione”. Applauso più cortese che convinto, poi il ministro saluta e se ne va, ha un aereo che l’aspetta. C’è appena il tempo per una dichiarazione davanti alle telecamere: “Cerchiamo di mettere in evidenza le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono”.

Le risposte dei magistrati arrivano in assenza del ministro, tutte dello stesso segno. Eugenio Albamonte, pm a Roma e segretario uscente di Area, replica lontano dalla tribuna: “Il problema è di sostanza, non di forma. Si può anche lasciare il simulacro formale dell’indipendenza del pm, ma una volta separate le carriere e i Consigli superiori, tanto più con l’aumento della componente politica rispetto a quella togata, a chi risponderanno i rappresentanti dell’accusa? O all’esecutivo o alla polizia, che a sua volta dipende dall’esecutivo. Difficile immaginare altre possibilità. E questo ci preoccupa, perché mette in discussione principi costituzionali come l’obbligatorietà dell’azione penale e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge”.

Sul palco del congresso, giudici e pm si alternano per ripetere gli stessi concetti, con accenti più o meno forti: dall’ex consigliere del Csm Giuseppe Cascini, procuratore aggiunto a Roma, al procuratore di Palermo Maurizio de Lucia; dal presidente dell’Anm, e giudice di Cassazione Giuseppe Santalucia, all’ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati. Fino agli esponenti delle altre correnti, dai centristi di Unicost ai “conservatori” di magistratura indipendente.

Parlano anche dei danni alle viste con altri disegni di legge in via di approvazione - dall’abuso d’ufficio, alle intercettazioni, alla prescrizione -, e mettono in guardia dalla “madre di tutte le riforme”. Sostenuta solo dal presidente delle Camere penali, l’avvocato Gian Domenico Caiazza. Il quale insiste sulla separazione delle carriere con l’indipendenza del pm scolpita nella riscrittura nella Costituzione, ma poi invita i magistrati a “non sprecare il patrimonio” di chi conosce davvero i problemi della giustizia e sa come risolverli, provando a mettere in mora la politica con proposte comuni: depenalizzazione e sostanzioso aumento dei riti alternativi. Tutti argomenti su cui la politica al governo sembra sorda.

Quella d’opposizione, invece, si schiera dalla parte dei magistrati: il leader Cinque Stelle Giuseppe Conte e la segretaria del Pd Elly Schlein quasi si ignorano in sala ma entrambi (come Debora Serracchiani e Anna Rossomando, sempre a nome del Pd) sottolineano i pericoli per la giurisdizione che arrivano dalle riforme in cantiere. E difendono i giudici dagli attacchi governativi; giusto ieri ne sono arrivati altri per un provvedimento emesso a Catania. Gli applausi che accolgono i loro interventi sembrano indicare che almeno in tema di giustizia il “campo largo” Pd-M5S potrebbe avere un futuro, sebbene contrapposto al “campo larghissimo” del centrodestra più l’ex Terzo polo di Renzi e Calenda, costante puntello della maggioranza su questi temi. Destinati ad alimentare il conflitto politico e quello tra politica e giustizia, come conferma il confronto in casa delle “toghe rosse”.