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di Michele Passione*

Avvocato, 25 agosto 2022

“Tutti gli uomini sono quasi sempre portati a credere non per via dimostrativa, ma per via di gradimento” (Pascal, De l’esprite géométrique).

Non c’è solo la campagna elettorale; com’è noto, qualche giorno fa il Consiglio dei ministri ha approvato, all’unanimità, lo schema di decreto legislativo e la relativa relazione illustrativa, in attuazione della legge delega n. 134/ 2021.

A tal proposito, in data 21 luglio il presidente del Consiglio dei ministri ha trasmesso ai componenti del governo una nota con la quale (inter alia) ha chiarito come, pur a seguito delle dimissioni dell’esecutivo, “il governo rimane impegnato nell’attuazione delle leggi e delle determinazioni già assunte dal Parlamento. Il governo rimane altresì impegnato nell’attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del Pnrr e del Pnc”.

Del resto, è noto come gran parte delle (ingenti) risorse delle quali il nostro Paese è destinatario siano destinate alla riduzione della durata media (entro il 2026) del 25% del processo penale nei tre gradi di giudizio.

Qualcuno storce il naso, ma sarà bene che tutti coloro che si candidano alla guida del nostro Paese sappiano quali obblighi hanno assunto in Europa e con l’approvazione della citata legge delega. Al dunque, nessuna forzatura costituzionale, piuttosto un dovere.

Nel merito: chi scrive ha fatto parte della Commissione istituita dalla ministra, prof.ssa Cartabia, in materia di giustizia riparativa, e solo di questo qui si intende brevemente dire. Come può leggersi in proposito (vale sempre la pena farlo prima di esprimere una opinione) nella relazione di accompagnamento (pgg. 376 e sgg.), “l’intero testo normativo si ispira ai principi di giustizia riparativa sanciti a livello internazionale ed europeo, in ottemperanza al criterio di delega di cui all’art. 1, comma 18, lett. a). In particolare, si è fatto riferimento alla Direttiva 2012/ 29/ Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa CM/ Rec (2018) 8, ai Principi base sull’uso dei programmi di giustizia riparativa in ambito penale, elaborati dalle nazioni Unite nel 2002”. Per ragioni di spazio, ci si concentrerà qui su due aspetti della novella.

L’art. 44 prevede che i programmi di giustizia riparativa siano accessibili in ogni stato e grado del procedimento (e anche prima del suo inizio o durante l’esecuzione della pena e/ o misura di sicurezza), senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità.

Si tratta, all’evidenza, di una previsione speculare rispetto al modello delle ostatività, che in particolare sul versante dell’esecuzione ha da tempo rivelato (questo sì) un evidente contrasto con la Carta.

Quanto alla valutazione dell’esito del programma di giustizia riparativa (art. 58), richiamata la volontarietà della stessa (presupposto indefettibile) si è ovviamente previsto che “in ogni caso, la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa” (si badi, “indicata”, e non già “l’autore del reato”, come recitava la delega).

Al dunque, ferma la piena legittimità di chi sostiene opinioni contrarie al testo predisposto dalla Commissione e approvato dal governo (anche da parte di odierni tonitruanti esponenti di un determinato orientamento politico) non è davvero dato comprendere come possa sostenersi che la riforma (e in particolare la parte sulla giustizia riparativa, tanto da citare il nuovo art. 129 bis cpp quale “paradigmatico, al riguardo”) sia “ideologicamente connotata”, volta a superare un modello processuale “ispirato al cognitivismo garantista” in nome di un “sostanzialismo etico”, nel perseguimento di una “efficienza declinata sul paradigma repressivo”, per un “giudizio che serve solo per dare soddisfazione alla pretesa vendicativa della vittima”.

Basta leggere i principi generali e gli obiettivi (art. 43), e ci si accorgerà del contrario. Nessuna costrizione a intraprendere un programma di giustizia riparativa, nessun pre- giudizio, nessuna lesione della presunzione di innocenza, nessun “corrispettivo inasprimento della pena in caso di condanna” per chi “si sottrarrà al percorso di recupero”.

Conoscere per deliberare (e criticare) è un atto dovuto, perché altrimenti la distopia non travolge “l’accertamento del fatto e della responsabilità”, ma prima ancora invera la realtà.nQueste, senza tema di smentita (basta leggere, appunto, anche sotto l’ombrellone, o in montagna - camminare aiuta a riflettere), le poche considerazioni, opportune, anche in ordine a quanto osservato su questo giornale dal professor Mazza.

Quanto alla citazione di Bruno Cavallone, vale forse la pena ricordare quanto affermato dall’Autore nel capitolo su “La porta della Legge”, ne La borsa di Miss Flite: “i diritti, potremmo dire, sono certi e intangibili, è la loro tutela giurisdizionale quella che risulta problematica”. Si è dunque cercato di fare in modo che la porta che separa il processo dalla vita reale non fosse sprangata e non allontanasse per sempre le persone, senza per questo trasformare la res iudicanda in un redde rationem.

Volendo approfondire, il 9 settembre a Cagliari (Area Democratica per la Giustizia), dal 12 al 14 a Milano (SSM), dal 27 a Firenze (Fondazione per la Formazione forense ed altri), il 10 ottobre a Brescia (Casa della Memoria), si discuterà approfonditamente di questi temi.

*Avvocato