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di Andrea Gianni

Il Giorno, 12 marzo 2024

Dal killer di Carol Maltesi a Cesare Battisti, passando per Alessandro Impagnatiello. L’opposizione dei familiari e i dubbi dei giuristi. Tra i primi a ottenere il via libera a percorsi di giustizia riparativa regolati dalla riforma Cartabia c’è Davide Fontana, il bancario che l’11 gennaio 2022 uccise l’ex fidanzata Carol Maltesi nella sua abitazione a Rescaldina, nel Milanese, colpendola con 13 martellate alla testa e poi sgozzandola. Condannato all’ergastolo, si è detto “fermamente deciso a voler riparare per quanto possibile alle sue azioni”. Un percorso sul quale, hanno spiegato i suoi difensori, “si sta avviando la fase della fattibilità concreta”, dopo che i giudici avevano dato il via libera all’invio della richiesta di ammissione ad uno dei centri previsti dalla legge, senza comportare alcun premio o sconto per il condannato. I familiari della vittima, però, hanno sempre manifestato una ferma opposizione a qualsiasi ipotesi di incontro o dialogo con l’uomo, mediato da uno specialista.

Si sono opposti all’ipotesi di un percorso di giustizia riparativa anche i familiari delle vittime di Cesare Battisti, condannato all’ergastolo per quattro omicidi e altri fatti di sangue commessi negli anni di piombo, quando militava nei Proletari armati per il terrorismo. Aveva iniziato, infatti, a lavorare all’iter, previsto dalla riforma Cartabia, per chiedere di essere ammesso alla mediazione penale che potrebbe portare a benefici penitenziari o a permessi premio.

Ha chiesto l’accesso alla giustizia riparativa anche Massimo Adriatici, ex assessore leghista a Voghera sotto processo a Pavia per eccesso colposo di legittima difesa per la morte di Youns El Bossettaoui, ucciso la sera del 20 luglio 2021 da un colpo sparato dalla sua pistola. E ha fatto discutere anche il caso di Alessandro Impagnatiello, l’ex barman che ha ucciso la fidanzata Giulia Tramontano a Senago: anche lui potrebbe puntare all’accesso a un percorso, fuori dal procedimento a suo carico.

La giustizia riparativa, secondo la riforma Cartabia, costituisce un “diritto del cittadino”, con accesso libero e volontario favorito dall’autorità giudiziaria. I dubbi sollevati da familiari delle vittime, da politici e giuristi, vertono però sul pericolo che un pentimento solo di facciata nasconda il tentativo di ottenere benefici in carcere e sconti di pena, pur non essendoci un automatismo. Poi c’è la questione dei centri territoriali che dovrebbero occuparsi dei percorsi. In alcune città esistono realtà già operative e sperimentazioni in corso, mentre in altre si attende ancora una creazione definitiva, che avverrà nei prossimi mesi, in un settore da sempre a corto di risorse. A queste nuove strutture messe in campo dalla riforma Cartabia si deve rivolgere il detenuto che sarà seguito dai responsabili del progetto. Norme anche per rendere organiche iniziative finora affidate solo a iniziative particolari, come ad esempio il Gruppo della Trasgressione creato un quarto di secolo fa nel carcere di Opera dallo psicologo Angelo Aparo per il recupero dei detenuti attraverso l’auto-percezione delle proprie responsabilità e la presa di coscienza dei reati commessi. Iniziativa che ha portato anche a numerosi incontri fra condannati e vittime.