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di Giovanni Negri

Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2022

Verso il 12 giugno. La soglia per legittimare il voto avrà impatto anche sull’esame del Ddl su ordinamento e Csm al Senato: la Lega punta tutto sul quesito, il Pd difende la legge.

Entra nel vivo la partita dei referendum. E l’intreccio con la riforma dell’ordinamento giudiziario rischia di fare salire ulteriormente la tensione in una maggioranza dove le crepe diventano sempre più evidenti. La data del 12 giugno è vicina e, si tratti di convinzione oppure di marketing, sui 5 referendum in agenda si concentrano le aspettative di chi è più insoddisfatto della piega che ha preso la riforma Cartabia.

Tre dei quesiti infatti (separazione funzioni, numero di firme per la presentazione delle candidature a Csm e ruolo avvocati nelle valutazioni di professionalità dei magistrati) intervengono direttamente su punti oggetto del disegno di legge delega approvato alla Camera e ora in (faticosa) discussione al Senato.

Detto che gli altri due referendum riguardano la soppressione della Legge Severino e la limitazione della custodia cautelare, la caccia al raggiungimento del quorum è aperta, nella consapevolezza che le decisioni della Corte costituzionale che ha considerato inammissibili i due referendum che più avrebbero fatto da traino nel promuovere la partecipazione, quelli su fine vita e coltivazione droghe leggere, rende l’obiettivo estremamente difficile da raggiungere.

E una buona cartina di tornasole dell’impegno delle principali forze politiche è data dalla fotografia degli emendamenti depositati da pochi giorni al Senato sulla riforma Cartabia. Il maggior numero arriva infatti da chi ritiene che la riforma serva poco o sia del tutto inutile e che, di riflesso, i referendum siano lo strumento in questo momento più adatto per arrivare a un cambiamento sostanziale.

Così se la Lega (che ha contribuito a raccogliere le firme per l’ammissibilità dei quesiti) ne ha presentati 60, Italia Viva ne ha depositati 86, mentre Fratelli d’Italia 92. Nessuno dal Pd che considera il risultato raggiunto alla Camera il migliore punto di equilibrio nelle condizioni date. Fuori dal Parlamento il passaggio referendario vede una magistratura schierata in maniera compatta per 5 no. I quesiti sommati al nuovo ordinamento giudiziario più le novità perii Csm sono letti come espressione di una spinta revanscista da parte di una larga parte della politica.

Dove però mai, nel recente passato, la magistratura ha vissuto una fase di debolezza paragonabile a questa. L’ormai proverbiale “caso Palamara”, i suoi strascichi, le divisioni interne nelle recenti nomine ai vertici degli uffici giudiziari, il dissolversi del “rito ambrosiano” con l’offuscarsi del prestigio della Procura di Milano, tra processi persi e polemiche interne, hanno condotto a un’impasse di cui è stata prova la bassa adesione al recente sciopero sulla riforma. Oggi se ne parlerà al comitato centrale dell’Anm, ma certo una percentuale del 48% tutto può essere considerata tranne che un successo.