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di Liana Milella

La Repubblica, 16 aprile 2022

Lega e Italia viva rivendicano l’intenzione di presentare propri emendamenti. Anche M5S verso proposte alternative su legge elettorale e separazione delle funzioni. Pd e Leu dicono no a richieste di modifica. Berlusconi dice che la legge può essere migliorata. Azione teme “il pantano parlamentare”.

Il countdown segna meno 72 ore dall’arrivo in aula della riforma Cartabia del Csm. Che martedì prossimo affronta a Montecitorio la discussione generale. E già la maggioranza si divide. Lega e Italia viva non rinunciano a presentare i propri emendamenti sui temi per cui si battono, tutti quelli del referendum sulla giustizia. I renziani trasformeranno in proposte alternative i loro distinguo sulla riforma e confermano che alla fine si asterranno. Ma anche il M5S è intenzionato a chiedere delle modifiche su legge elettorale e separazione delle funzioni, e in queste ore ne sta discutendo al suo interno, visto che il presidente Giuseppe Conte aveva insistito sulla necessità di chiudere il testo. Forza Italia vuole soprattutto evitare il ricorso alla fiducia. Pd e Leu non presentano nulla. Azione già dice che parlare di modifiche porta ad impantanarsi.

Una dinamica del prossimo voto in aula che ovviamente preoccupa palazzo Chigi, deciso a non mettere la fiducia, almeno a Montecitorio, come il premier Mario Draghi ha garantito, anche se poi sarà scontato pretenderla al Senato dove i numeri risicati fanno già ipotizzare il flop per la legge Cartabia. E c’è addirittura chi, preoccupato per un’eventuale sconfitta a palazzo Madama, già pensa a una proroga di un paio di mesi dell’attuale Csm, da decidere proprio dopo il sì della Camera e prima del voto al Senato.

Ma il film di ieri rischia di rovinare la Pasqua alla ministra della Giustizia Marta Cartabia. Perché le certezze sull’atteggiamento “indipendentista” di Lega e Italia viva, nonché di quello del M5S, si materializzano subito dopo che un prudente e preveggente Federico D’Inca, il ministro per i rapporti con il Parlamento, di prima mattina, invia un sms ai capigruppo della maggioranza. Che suona così: “In vista dell’appuntamento parlamentare sulla riforma del Csm si auspica che il testo rimanga quello concordato. Pertanto è utile sapere in anticipo se avete intenzione di presentare emendamenti oppure no”.

E qui si apre lo scenario preoccupante sul futuro parlamentare della riforma. Perché D’Incà apprende che, pur dopo il voto in commissione Giustizia e il faticoso accordo sul testo, non c’è solo Italia viva a smarcarsi dalla maggioranza. Se Matteo Renzi ha già annunciato l’astensione, e il suo delegato alle trattative, il deputato e tuttora magistrato Cosimo Maria Ferri parla di “una riforma a ribasso”, a sorprendere è non solo la decisione della Lega di presentare sotto forma di emendamenti tutti i temi del prossimo referendum sulla giustizia, ma anche quella del M5s di non rinunciare al tentativo di ottenere delle modifiche. Perché, dicono le fonti pentastellate che ne stanno discutendo, sia la legge elettorale che la soluzione della separazione delle funzioni potrebbe essere migliorata”. E poi pesa sul M5S la reazione durissima dei magistrati. Proprio martedì l’Anm, con il presidente Giuseppe Santalucia, farà una conferenza stampa e nel pomeriggio riunirà il “parlamentino”. Mentre le liste bollono di messaggi anti riforma. E sabato 30 aprile l’assemblea generale degli iscritti potrebbe dare il via libera allo sciopero.

La Lega sicuramente non rinuncia neppure a votare - proprio come ha già fatto in commissione Giustizia - gli emendamenti di altri gruppi, in particolare quelli di Fratelli d’Italia, che coincidono con i quesiti referendari. Dalla responsabile Giustizia della Lega, la senatrice e avvocato Giulia Bongiorno, arriva la conferma che il gruppo della Camera depositerà proposte di modifica sulla netta separazione delle funzioni (chi entra in magistratura decide subito se fare il pm o il giudice senza cambiare mai più), sulla responsabilità civile diretta (paga la toga e non lo Stato se l’errore è confermato), sugli avvocati nei consigli giudiziari. Il risultato sarà quello di una maggioranza spaccata.

Gli unici fedeli al testo Cartabia, perché già frutto di uno stressante compromesso come ha ribadito la responsabile Giustizia Anna Rossomando, sono il Pd e Leu. Ed entrambi i gruppi hanno rassicurato D’Incà. Mentre Enrico Costa di Azione dice che “se non si resta sullo stesso testo si rischia di impantanarsi”. Lui e Riccardo Magi di +Europa, al messaggio di D’Incà, hanno risposto al mattino con un “vedremo”. Ma è evidente che nel corso della giornata la tenuta della maggioranza è andata sgretolandosi. Tant’è che alla fine anche Forza Italia si è attestata sulle posizioni di Berlusconi, ossia che “il testo può sempre essere migliorato”. Di fatto una via libera agli emendamenti.

Ma in concreto cosa accadrà in aula? Martedì si chiude la discussione generale. Mercoledì il programma dei lavori è pieno di altre questioni, cui segue in coda la riforma del Csm. Un’inversione dell’ordine del giorno potrebbe portarla al primo punto. Ma se esplodono gli emendamenti una giornata di dibattito non sarà sufficiente. A questo punto, per palazzo Chigi, si riaffaccia la scelta sulla fiducia. Nel garantire che non ci sarebbe stata, Draghi ha sempre parlato di “scelte condivise”, ma se il quadro dovesse cambiare, come sta cambiando, un ripensamento potrebbe essere inevitabile.