di Vincenzo Vitale
Il Garantista, 4 gennaio 2015
Perché? Perché gli indizi sono forti. Ma il Codice prevede criteri diversi per la carcerazione preventiva. Veronica, accusata d'aver ucciso il piccolo figlioletto Lorys, resta in carcere. Il Tribunale del Riesame di Catania, dopo una udienza particolarmente lunga ed una altrettanto durevole camera di consiglio, ha intatti rigettato la istanza di scarcerazione.
C'era da aspettarselo. Perché esiste un costume in forza del quale la tendenza a mantenere lo stato di detenzione è abbastanza intensa e tale comunque da prevalere su altre possibili interpretazioni delle norme vigenti.
C'era da aspettarselo: Veronica, la giovane madre accusata d'aver ucciso il piccolo figlioletto Lorys, resta in stato di detenzione in carcere. Il Tribunale del Riesame di Catania, dopo una udienza particolarmente lunga ed una altrettanto durevole camera di consiglio, ha infatti rigettato la istanza di scarcerazione avanzata dal suo difensore.
Ora, perché aspettarselo? Perché c'era da mettere in conto una sorta di costume, presente e diffuso all'interno della giurisdizione italiana, in forza del quale la tendenza a mantenere lo stato di detenzione rispetto a quello della piena libertà o - addirittura - della detenzione domiciliare è abbastanza intensa e tale comunque da prevalere su altro possibili interpretazioni dello norme vigenti, Ammettiamo puro che la rimessione in libertà di Veronica possa comportare un pericolo per le indagini che - come è stato ancor oggi affermato - sono in corso: cosa si sarebbe opposto a disporre la misura certo meno afflittiva della custodia cautelare domiciliare?
Certo, non si conoscono ancora le motivazioni della ordinanza appena depositata in cancelleria, ma non si riesce a comprendere - in base al buon senso - a quale presupposto si possa appellare il rigetto della istanza di liberazione.
Eccettuando il potenziale inquinamento delle prove - di quello ovviamente ancora da raccogliere - quale altro presupposto di legge non sarebbe stato soddisfatto, liberando Veronica? Forse la reiterazione del reato? Sarebbe assurdo solo pensarlo, visto che si tratta di delitto a suo modo irripetibile. Forse il pericolo di fuga?
Anche questo rischio, ammesso che possa considerarsi seriamente, sarebbe stato ampiamente evitato attraverso una misura mono afflittiva, quale la detenzione domiciliare, E allora? Come si concilierebbe il rigetto della istanza di scarcerazione con il principio del nostro codice di procedura penale che esige che lo stato di detenzione in carcere sia disposto soltanto quando ogni altra misura - meno afflittiva - risulta impraticabile?
In attesa della possibilità di conoscere le motivazioni del provvedimento del Tribunale di Catania, si vorrebbe qui esorcizzare un esito che sarebbe oggettivamente sbagliato, quello cioè secondo il quale il rigetto potrebbe essere stato disposto semplicemente per la presenza di gravi indizi di colpevolezza.
Non voglio credere che così possa essere, perché - se fosse così - dovremmo dedurne che il Tribunale sia caduto in una sorta di pericoloso trabocchetto intellettuale in forza del quale si tiene una persomi in carcere per una motivazione sostanzialmente scorretta, in quanto non voluta dalla legge: perché lo si ritiene già colpevole.
Questo non può essere, per il semplice motivo che se un imputato - qualunque sia il delitto di cui possa essere accusato - debba essere considerato colpevole, lo si saprà alla fine del procedimento, e non all'inizio. Proprio per tale ragione, la presenza di gravi indizi di colpevolezza altro non ò - secondo la legge - che la cornice generale all'interno della quale poi vanno ritrovati i singoli presupposti che possano legittimare lo stato di custodia carceraria.
Occorre, insomma, che nell'ambito dei gravi indizi di colpevolezza sia rappresentabile seriamente il concreto pericolo di fuga o di inquinamento delle prove o di commissione di altro delitto. Se nessuno di questi presupposti sarà rintracciabile, allora l'imputato dovrà essere scarcerato o, quanto meno, posto agli arresti domiciliari. Per conoscere e capire cosa si trovi a supporto del provvedimento del Tribunale bisognerà dunque attendere, ma i dubbi e le preoccupazioni qui manifestati possono esserlo da subito.
In proposito, non si ribadirà mai abbastanza come anche la recentissima riforma - salutata come la panacea della custodia cautelare - sia null'altro che l'ennesimo intervento senza né capo né coda. Ci si limita infatti a sostituire un aggettivo ad un altro ( pencolo di fuga attualo invoco che concreto), come bastasse cambiare aggettivazione per riportare il nostro sistema penale all'interno della cornice dello Stato di diritto, cosa che palesemente non ò. Infatti, mai potrà dirsi esistente davvero lo Stato di diritto dove -come accade in Italia- oltre un terzo della popolazione detenuta è in attesa di giudizio.