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di Simona Musco

Il Dubbio, 20 settembre 2023

Dl intercettazioni, gli azzurri non cedono alle richieste del governo: “Lo dobbiamo agli elettori”. Non una pace e nemmeno una tregua, mentre tutti si impegnano (senza convincere nessuno) a negare la faida. È guerra fredda nella maggioranza di governo, divisa ormai in maniera palese su tutti i temi che riguardano la giustizia. E a peggiorare il clima ci si è messo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che oggi ha disertato il tanto atteso appuntamento con i deputati di Forza Italia.

Ufficialmente, le ragioni si rintracciano in “impegni concomitanti” del Guardasigilli, che ieri pomeriggio ha arringato la folla ribadendo la necessità di attuare il processo accusatorio al convegno “Le buone leggi. Semplificare, per far ripartire l’Italia”. Ma gli azzurri, che erano arrivati fiduciosi a via Arenula con la speranza di difendere i propri emendamenti sul dl che vuole allargare l’uso degli strumenti antimafia in tema di intercettazioni, avrebbero fatto dietrofront “innervositi” e stremati dai continui tira e molla sul garantismo.

Il clima che si respira, dunque, non è di certo dei migliori. L’appuntamento con il ministro, spiegano i berlusconiani, verrà riprogrammato. Ma di tempo, ormai, non ce n’è più, dato che il voto in Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia dovrebbe iniziare oggi, 48 ore prima di portare il testo in aula a Montecitorio, dove la discussione è calendarizzata venerdì 22. Il decreto va convertito entro il 9 ottobre e il governo ha già chiesto ai forzisti di evitare di arrivare divisi all’appuntamento. Ma tra gli azzurri c’è chi, già da tempo, dice di averne “le scatole piene”, mentre chi tempo fa prendeva atto delle “spinte giustizialiste”, da mandare giù senza darlo troppo a vedere per questioni di opportunità, comincia a mal sopportare il silenzio.

Le voci che provengono dall’inner circle berlusconiano sono chiare: gli emendamenti non si toccano. E il più agguerrito in tal senso, stando ai ben informati, sarebbe Tommaso Calderone, capogruppo in Commissione Giustizia, che ne ha messi sul piatto nove. “Non ha la minima intenzione di cedere”, fanno sapere i suoi colleghi, mentre lui si trincera dietro un secco “no comment”. Ma la linea sembra chiara: l’elettorato di Forza Italia - questa la sintesi del ragionamento - è quello delle garanzie, non quello del giustizialismo che trova sponda a destra con Fratelli d’Italia e a sinistra con il M5S e la prudenza, finora, ha portato a perdere solo 4 punti nei sondaggi. “Non abbiamo intenzione di andare al traino di nessuno”, continua un deputato pronto al muro contro muro.

Il rinvio dell’incontro con Nordio, chiesto per trovare quantomeno un compromesso - il ritiro di alcuni emendamenti in cambio dell’approvazione di altri - sembra dunque tutt’altro che casuale e appare più come un tentativo di sottrarsi al confronto, forse difficile per chi, come il ministro, si è sempre dichiarato garantista, senza però riuscire a dimostrarlo dallo scranno di via Arenula. Sarà per i diktat di Giorgia Meloni, che non ha mai messo in agenda l’ipotesi di scontentare la magistratura. E infatti alle toghe è bastato chiedere per ottenere il decreto che disinnesca la bomba piazzata da una sentenza della Cassazione del 2022, stando alla quale è illegittimo l’uso degli strumenti antimafia in assenza di una contestazione per associazione mafiosa. Una sentenza che “preoccupa”, aveva spiegato in audizione Giovanni Melillo, capo della Direzione nazionale antimafia, in quanto andrebbe a innovare “il quadro di diritto vivente definito dalla sentenza Scurato”, che riconosceva l’applicabilità della disciplina speciale anche ai reati commessi con metodo mafioso o al fine di agevolare gli scopi di un’organizzazione mafiosa. Tutte d’accordo con lui le toghe, mentre i costituzionalisti sentiti in commissione stanno, di fatto, con Forza Italia: la disposizione transitoria che rende il decreto retroattivo è incostituzionale e forse lo è anche la scelta della decretazione d’urgenza. E a sottolineare le storture ci si è messo anche l’Ufficio studi della Camera, secondo cui il decreto sembra rispondere a “10 diverse finalità” facendo venir meno il requisito dell’omogeneità, tanto da richiamare alla memoria le bocciature della Consulta in tal senso, in particolare la sentenza 247/2019, che stroncava la “materia finanziaria” come ratio per accorpare di tutto e di più. Inoltre, per quanto riguarda la retroattività, l’Ufficio studi ha sottolineato la necessità “di chiarire l’ambito di applicazione della normativa in questione” in relazione ai processi in corso, dal momento che “alla disciplina di carattere processuale si applica di norma il principio generale del tempus regit actum”.

Insomma, gli ingredienti per lo psicodramma ci sono tutti. E mentre dalla maggioranza si prova a smentire qualsiasi malumore - ma senza troppa convinzione -, nelle Commissioni riunite si procede spediti per chiudere i lavori. Ieri sono stati resi noti gli emendamenti ritenuti inammissibili in quanto non strettamente attinenti alle materie oggetto del decreto. E tra questi non ci sono quelli che mirano a ridurre la portata dell’intervento antimafia. “Gli emendamenti sulle intercettazioni sono stati ammessi e sono molto chiari - ha commentato il deputato di Azione Enrico Costa -. Se verranno approvati i nostri e quelli di Forza Italia si volterà finalmente pagina: si dirà basta alle “intercettazioni a strascico” ed al trojan applicato indiscriminatamente. Sono proposte in linea con gli indirizzi di Nordio: sarebbe un’enorme contraddizione se il Governo esprimesse parere negativo. Significherebbe che tante belle parole cedono alla parte giustizialista della maggioranza”. Un chiaro messaggio al ministro, invitato alla coerenza, mentre lui, in piazza, prometteva di “rifare il processo penale”, enfatizzando “l’accelerazione dei processi” e “la figura dell’avvocato”. Ma non solo: Nordio ha rilanciato l’abolizione dell’abuso d’ufficio e la separazione delle carriere, “non negoziabile” in quanto presente “nel programma di governo” e diretta conseguenza “del processo accusatorio”. La riforma, ha sottolineato, “non ha come conseguenza che il pm venga portato sotto l’esecutivo: se l’è inventato chi non vuole la separazione delle carriere. Il nostro è l’unico Paese al mondo in cui vi è questa interazione tra pm e giudice, lasciando fuori la figura dell’avvocato. Se avremo la possibilità, come spero e penso, di durare l’intera legislatura, la faremo”. Infine a novembre, con la nuova riforma in cantiere, “interverremo sulla prescrizione”, ha assicurato. Interventi che, sulla carta, sembrano andare nel senso sperato da Forza Italia. Chissà se, anche questa volta, ci penserà Meloni a spegnere gli entusiasmi.