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di Paola D’Amico

Corriere della Sera, 4 dicembre 2023

Indagine di Mèdi-Migrazioni nel Mediterraneo sugli stranieri che donano: raccolte fondi e attività di solidarietà. Il caso della Comunità Monsignor Romero. Maurizio Ambrosini: “Ancora troppi stereotipi”. Sono cittadini “di fatto”, contribuiscono attivamente alla società di cui fanno parte. Anche sotto l’aspetto della solidarietà. E il loro atto del donare va letto come una domanda implicita di riconoscimento sociale. Partecipare - consegnando i pasti ai fragili, promuovendo donazioni di denaro, di beni materiali, di sangue - esprime un senso di appartenenza alla comunità in cui vivono. È quando emerge dalla inedita fotografia della popolazione di origine immigrata impegnata nel volontariato, scattata tra la pandemia e l’emergenza profughi con la guerra in Ucraina, grazie alla ricerca di “Medì-Migrazioni nel Mediterraneo” di Genova con i Centri di servizio per il volontariato e Csvnet che la presenta oggi sui propri canali YouTube e Facebook. In particolare, lo studio suona come un invito a mettere all’angolo molti stereotipi come quelli “che gli immigrati sono parassiti o persone da assistere”, sottolinea il sociologo Maurizio Ambrosini, docente all’Università Statale di Milano, che di “Medì” è il direttore scientifico.

La testimonianza - Julio Paredes, 38 anni, coordinatore di una delle associazioni coinvolte nella ricerca, e cioè la Comunità Monsignor Romero presso il Centro Schuster di Milano, aggiunge qualche dettaglio a questa istantanea: “So cos’è la povertà e come me tanti altri. Sappiamo cosa vuole dire non avere nulla, avere fame e non avere niente da mangiare. È quello che ci muove. Io sono arrivato in Italia dal Salvador a 19 anni, ho trovato lavoro dopo 3 mesi e non mi sono più fermato: i miei obiettivi, con fatica, li sto raggiungendo. La Comunità è stata fondata dalle tante donne arrivate per lavorare all’inizio degli anni Ottanta, quando nel mio Paese c’era la guerra: allora era il loro punto di incontro, oggi è un luogo aperto a tutti”.

Il volume curato da Ambrosini e Debora Erminio parte da un focus su 330 volontari scelti in diverse organizzazioni presenti su tutto il territorio nazionale, cui si aggiungono un’ottantina di interviste. Traccia un identikit del volontario: più donne (59%) che uomini; in Italia da più di 20 anni; 43 anni di età, uno su due ha la cittadinanza, il 42% una occupazione stabile e il 52% una laurea. E in sostanza identifica una “classe media che attesta la sua integrazione anche mediante le pratiche di solidarietà”. Riscontra, tra le altre cose, la capacità di tutti coloro che ricadono sotto la definizione di “immigrati”, inclusi i neocittadini italiani e le seconde e terze generazioni cresciute in Italia, di “aggregarsi in forme più o meno organizzate per attivarsi e prestare aiuto”.

Dice ancora Ambrosini: “Siamo partiti dalle notizie emerse durante la fase più drammatica della pandemia. Per esempio nella mia città, Vercelli, la comunità di senegalesi ha raccolto e donato diecimila euro a chi era impegnato a gestire l’emergenza. Lo ammetto, non avrei mai pensato che fossero capaci di tanto. Ma come questo ci sono decine di esempi di donazioni anche ingenti alle istituzioni, non solo collette spedite al loro Paese di origine. Quindi, abbiamo deciso di studiare il ruolo attivo di queste persone, la loro capacità di aggregarsi in forme più o meno organizzate”. Ed ecco i volontari in prima linea nella raccolta e distribuzione di aiuti, nella traduzione e diffusione di informazioni sui comportamenti da adottare, nella mediazione con i servizi sanitari, nella collaborazione in rete con servizi e organizzazioni italiane per aiutarle a cercare di raggiungere i residenti stranieri, fino ai più marginali e invisibili.

Una dimensione indagata è quella del dono in termini di tempo, più vicina all’esperienza del volontariato. Ed emerge che “chi ha ricevuto qualche tipo di sostegno mostra livelli di pro-socialità più alti, cioè partecipazione a iniziative solidali”. I solidali di origine immigrata sono spesso impegnati in attività di sostegno ai diritti degli stranieri: istruiti e talvolta naturalizza possono mediare i rapporti con la burocrazia. “È emersa anche una dimensione politica di questo impegno, una domanda di riconoscimento, di ascolto”. Specialmente da parte di gruppi stigmatizzati: comunità musulmane, associazioni di immigrati del Sud del mondo.

“Finita la pandemia, questo ruolo attivo - continua Ambrosini - è finito nell’oblio, le loro domande sono state dimenticate. Ricordarle è uno degli obiettivi della ricerca”. Gli immigrati che fanno del bene sono visti come una eccezione. “Contraddicono la nostra visione e poiché siamo pigri nel cambiare mentalità preferiamo rimuoverli. Occorre una contro-narrazione”. Il mondo del volontariato “è per vocazione laboratorio di esperienze di sviluppo della comunità. L’indagine offre alle realtà di Terzo settore - conclude Maria Luisa Lunghi, presidente Csv Lombardia Sud e consigliera Csvnet - sollecitazioni e motivazioni per individuare piste di lavoro innovative”.