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di Simona Musco

Il Dubbio, 9 febbraio 2024

“A Milano due psicologhe del carcere locale sono attualmente sotto indagine da parte della procura della Repubblica per aver fatto il loro mestiere e addirittura l’avvocata che difende l’imputata è sotto accusa. Credo che questa sia una enormità, ma certamente se già le persone sono poche, non vengono pagate e poi quando fanno il loro lavoro c’è anche un pubblico ministero che le mette sotto indagine, mi pare che arriviamo a un livello completamente incontrollabile. Da politico, da senatore e anche da lettore dei giornali ho trovato che fosse una notizia veramente ai limiti dell’abnormità”. A lanciare l’allarme, dall’aula del Senato, è Ivan Scalfarotto, di Italia Viva.

Che intervenendo durante il voto sul ddl Nordio si è rivolto al ministro della Giustizia ricordando il dramma delle carceri: “La nostra Costituzione e il nostro ordinamento prevedono per chi sbaglia magari la perdita della libertà ha sottolineato -ma mai la perdita della dignità”. Ma in carcere non c’è spazio per la Costituzione. Anzi, ha aggiunto il senatore renziano, “le statistiche ci dicono che è un luogo criminogeno”. Un problema che il governo non sta affrontando a dovere, se è vero, com’è vero, che dall’insediamento di Carlo Nordio in poi sono state introdotte “almeno quindici figure di nuovi reati” e aumentate le pene “anche soltanto al fine di aumentare la custodia cautelare in carcere”.

La risposta del governo è a lungo termine, ammesso che possa funzionare: nuove carceri, soluzione che rinvia la soluzione a data da destinarsi. Ed è inutile il tentativo di Scalfarotto - tra gli altri - di ricordare che “non c’è soltanto il carcere tra le pene”, concetto che Giorgia Meloni, non troppi giorni fa, ha ribadito di non voler ascoltare: “Il problema del sovraffollamento - ha sottolineato rispondendo alla segretaria dem Elly Schlein -, non si risolve togliendo i reati, ma aumentando la capienza delle carceri e investendo sulla polizia penitenziaria”. Ma per Scalfarotto ed il Pd bisognerebbe investire anche sugli psicologi, categoria sulla quale si è abbattuto l’effetto “Bibbiano”, quello che, all’indomani dell’inchiesta sugli affidi, portò alla criminalizzazione degli assistenti sociali. L’indagine del pm Francesco De Tommasi sulle due psicologhe di San Vittore, ree di aver valutato con un test il Qi di Alessia Pifferi (a processo per la morte della figlia di soli 18 mesi proprio con De Tommasi), ha seminato il panico tra i professionisti in carcere. Una paura che emerge a chiare lettere da due missive: quella scritta da una delle due indagate, che ha annunciato di non voler più lavorare con i detenuti, e quella scritta da operatori, volontari, associazioni e realtà legate al carcere alla procuratrice di Milano, Francesca Nanni, e alla presidente del tribunale di Sorveglianza, Giovanna Di Rosa. “Ci preoccupa che chi dedica con fatica la propria professionalità per realizzare il mandato che la legge attribuisce al carcere venga colpito nell’esercizio del proprio lavoro”, si legge nella lettera.

A fronte dei 69 suicidi nel 2023 e dei 15 del 2024, come “sottovalutare l’importanza dell’attività di prevenzione suicidaria, che psicologhe e psicologi svolgono quotidianamente nei confronti di tanti detenuti? Senza il loro apporto questi numeri sarebbero tragicamente più alti: le psicologhe e gli psicologi in carcere salvano vite”. Un concetto semplice e inattaccabile.

Eppure, il lavoro delle psicologhe che hanno seguito Pifferi - e addirittura quello del suo avvocato - è stato trattato alla stregua di un gioco di prestigio, finalizzato ad “aiutare” la difesa, somministrando un test che, secondo il pm, non andava fatto. Ma se non bastassero gli allarmi degli addetti ai lavori, allora, forse, bisognerebbe ascoltare la viva voce del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, che ascoltato mercoledì in audizione in Commissione Giustizia alla Camera ha chiarito a tutti il concetto: “Ci sono pochi psicologi, pochissimi psichiatri, risorse limitate, e su questo non è all’orizzonte un’inversione di tendenza”, ha detto ai deputati che lo stavano ascoltando proprio per capire come affrontare l’emergenza suicidi.

Arginabile, secondo Russo, solo con professionisti in grado di “intercettare” un “dolore che “non è patologia”, ma “sofferenza che non deve essere acuita dalla permanenza negli istituti di pena”. Ma le “risorse” scarseggiano. E quelle sul campo, ora, hanno pure paura. Che la soluzione non sia riaprire le vecchie caserme, ieri, lo ha sottolineato anche Walter Verini del Pd. “Il tema dell’architettura penitenziaria non è solo di carattere urbanistico- estetico - ha sottolineato - perché deve essere funzionale a un’idea di trattamento, a un’idea di applicazione dell’articolo 27 della Costituzione”. Insomma, l’esatto contrario della situazione attuale. “Bisogna fare in modo che le carceri siano umane - ha concluso - e l’architettura carceraria è un pezzo di questa concezione”.