di Camilla Alcini
ScacchItalia, 25 febbraio 2023
Parlano gli istruttori che lavorano con i detenuti: “Il gioco aiuta a conoscersi meglio, a fare amicizia, e ad allontanare la tristezza del carcere. E li aiuterà a trovare lavoro una volta liberi”.
Quando mette piede per la prima volta nel carcere romano di Rebibbia, Emanuele Carulli, che ha 27 anni e insegna il gioco degli scacchi da sette, non sa chi e cosa aspettarsi. Dopo aver accettato l’invito di Seconda Chance, associazione nata per aiutare il reinserimento di detenuti ed ex detenuti nel mondo del lavoro, Carulli arriva alla casa di reclusione, circa 300 detenuti, solo uomini, per la prima delle otto lezioni per cui si è impegnato.
È un po’ in ritardo. Lo attende un gruppo di 10 allievi. Un ragazzo di 25 anni è il suo unico coetaneo, gli altri vanno dai 35 ai 60. “Non si preoccupi, abbiamo tempo sia per giocare a scacchi che per pensare. Non andiamo da nessuna parte, noi!”: la prima mossa è la loro. Inattesa, capace di rompere ironicamente l’imbarazzo che la situazione, l’ambiente, possono creare.
Ancora pochi minuti, il tempo di presentarsi e di scambiare due parole, e si passa all’azione. “Avevo paura di non riuscire ad instaurare un buon rapporto, di dire qualcosa di sbagliato, di essere in soggezione io o di mettere in soggezione loro. Ma in pochi secondi hanno reso tutto semplice”, racconta Carulli. E allora via alle scacchiere, alle strategie e anche ai compiti a casa (“forse dovrei dire in cella?”, ci chiede Emanuele).
“La sorpresa è stata che tutti sapevano già giocare, chi più chi meno, quindi abbiamo iniziato ad analizzare partite di grandi maestri, scontri famosi, sfide storiche e siamo passati subito alla parte divertente”. Due ore o poco meno di gioco e di apprendimento, ma anche di chiacchiere e risate. Fino all’ultima lezione, il 21 gennaio, quando il maestro saluta i suoi allievi con la consapevolezza di aver regalato momenti di distrazione e insegnamenti che permetteranno di trascorrere ore piacevoli, (sì, anche in carcere), davanti a una scacchiera.
“Finora il carcere l’avevo visto solo nei film e nelle fiction. Incontrare un detenuto di persona, vedere dove vive, come vive, condividere momenti a volte molto personali, è un’altra cosa. Con alcuni si è creata un’amicizia, mi hanno chiesto della mia vita senza invidia, interessandosi a quello che faccio. E a mia volta ho ascoltato racconti e confidenze. Credo che sia stato uno scambio utile a tutti noi”.
Dopo la chiamata della Federscacchi tramite Facebook tre istruttori hanno dichiarato la loro disponibilità a contribuire al progetto di Seconda Chance. Tra loro proprio Carulli, che coltiva questa passione dalle elementari, quando non è impegnato come professore di religione nelle scuole medie. “Mi è stato proposto, e ho pensato che sarebbe potuta essere una bella esperienza vivere questa realtà, conoscere chi sta in carcere”.
Oltre al corso di Rebibbia, ne sta cominciando uno a Terni e un altro è appena partito a Palermo. “Ho scelto di dare la mia adesione al progetto perché mi è sembrata un’iniziativa lodevole e di alto spessore umano. E poi mi stimolava l’idea. Ho già avuto un’esperienza simile nel 2005, sempre al Pagliarelli, e la ritengo tra le più formative e intense tra tutte quelle sperimentate in ambito scacchistico”, racconta Francesco Lupo, 57 anni, da oltre 30 istruttore in scuole e circoli, per allievi di tutte le età.
“Spero di poter offrire il mio contributo per dare una visione della vita differente a persone che hanno sbagliato ma devono essere aiutate a recuperare la loro dimensione sociale. L’acquisizione di strumenti formativi, come gli scacchi, può impedire di ricadere negli errori che hanno portato alla condanna”. Oltre a creare posti di lavoro per i detenuti, con iniziative come queste Seconda Chance li aiuta a reinserirsi nella società a 360 gradi. “Siamo molto contenti della collaborazione avviata con la Federscacchi”, spiega Flavia Filippi, presidente di Seconda Chance.
“Con le cofondatrici dell’associazione, Alessandra Ventimiglia e Beatrice Busi Deriu, affianchiamo alla ricerca di opportunità di lavoro l’organizzazione di attività ricreative, o sport della mente come vengono chiamati gli scacchi e il bridge. E poi laboratori di giornalismo, corsi di pasticceria, di gelateria, di arte, di make up...”.
Il valore degli scacchi consiste soprattutto nello stimolare la creatività, la logica e la fantasia. Ma per i detenuti le lezioni costituiscono anche una valvola di sfogo e un modo per conoscersi meglio e per imparare a gestire le proprie emozioni. “È un linguaggio universale, che aiuta a relazionarsi. Possono nascere amicizie e possono attenuarsi litigi”, spiega ancora Carulli.
“Il gioco costringe a immedesimarsi nell’altro, a tentare di capire cosa ha in mente, come intende uscire da una situazione. Sei costantemente costretto a interpretare le intenzioni dell’avversario. Ovvio, alla fine c’è anche il divertimento, l’allontanarsi per un po’ dalla tristezza del carcere, che si sente eccome”. Mirko Trasciatti, 32 anni, da otto insegna scacchi nel carcere di Spoleto, ha portato suoi allievi a partecipare per due volte, con buoni risultati, al Mondiale per prigionieri organizzato dalla FIDE, e sta contribuendo a organizzare iniziative simili in altri penitenziari. Sottolinea tre aspetti che possono essere d’aiuto ai detenuti: ludico, riabilitativo e rieducativo. In particolare la capacità analitica che il gioco stimola e allena, ma anche quella di saper fare delle scelte con cautela e valutarne i possibili esiti, aiutano a rieducare i detenuti. “Negli scacchi c’è molto rispetto”, spiega Trasciatti.
“Il rispetto dell’altro, ad esempio, nella fase di analisi della partita e nella stretta di mano con l’avversario. E il rispetto delle regole, che come in ogni sport esistono e devono essere rispettate, ma che negli scacchi sono veramente tante”. Quanto all’aspetto ludico, impiegando gran parte del proprio tempo libero a giocare e a ripercorrere mentalmente le proprie mosse e quelle dell’avversario, i detenuti pensano un po’ meno alla loro condizione e alla lontananza dai propri cari. Infine l’insegnante descrive il valore degli scacchi dal punto di vista riabilitativo, ovvero nella vita dopo la scarcerazione.
“Gli scacchi sono un gioco della mente. Alcuni li considerano un gioco elitario ma in realtà a scacchi giocano davvero tutti. Dopo aver espiato la pena, quando il detenuto va a presentarsi a un colloquio di lavoro, aver giocato a scacchi piuttosto che aver passato dieci anni a fare palestra sicuramente aiuta”. Le qualità caratteriali allenate dalla pratica degli scacchi e la reputazione del gioco, insomma, contribuirebbero al curriculum del detenuto al momento del reinserimento in società. Anche Carulli sottolinea gli stimoli positivi e duraturi che gli scacchi regalano ai giocatori.
“È un mondo che non finisce, non si smette mai di imparare, è una fonte di creatività da cui potranno sempre attingere”. Confermano le voci di alcuni detenuti, raccolte da un questionario: “Gli scacchi fanno correre il tempo più piacevolmente e distraggono la mente dai soliti problemi”. “Sono un ottimo strumento di socializzazione che aiuta a svuotare la mente e insegna il rispetto per l’avversario”.
“Suscitano interesse e curiosità, perché presentano continuamente nuove incognite”. “Reclutare insegnanti su base volontaria, organizzare i corsi adeguandosi alle loro disponibilità e a quelle dei vari istituti non è stato semplice”, commenta la responsabile del progetto scacchi di Seconda Chance, Costanza Toti. “Ma il bilancio è positivo e dunque se la Federazione ci aiuta proveremo a trovare altri istruttori e ad allargare l’offerta. Alle direzioni e alle aree educative delle carceri gli scacchi interessano molto”.
Riconosciuti i benefici di iniziative del genere e degli scacchi in particolare, la volontà da parte di molti istituti carcerari di realizzarle è in aumento. “Accettiamo qualsiasi offerta di formazione perché i detenuti devono trascorrere meno tempo possibile a non fare nulla, l’ozio sconvolge le dinamiche quotidiane e porta a problemi di gestione. Quindi noi accogliamo volentieri le offerte come questa, e facciamo di tutto per realizzarle”, ci dice Fabio Gallo, comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di Terni, dove sta cominciando il terzo corso portato da Seconda Chance.
“Sono tutti molto curiosi, la proposta è stata accolta con grande entusiasmo. Si erano iscritti 30 detenuti ma purtroppo abbiamo dovuto fare una selezione, potendone accogliere solo 17”, racconta il comandante Gallo. Il prossimo step potrebbe essere una serie di gare all’interno dei vari reparti, o addirittura un torneo tra carceri. Ma prima Emanuele Carulli lancia un appello: “Sarebbe importante dotare ogni cella di una scacchiera. Aiuterebbe i detenuti, ma anche lo sviluppo del gioco”. Al Ministero della Giustizia la prossima mossa.