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di Tiziana Maiolo

Il Dubbio, 8 novembre 2023

La Francia sta processando il ministro della giustizia Eric Dupond-Moretti, ed è la prima volta di un guardasigilli in carica. Negli Stati Uniti è alla sbarra Donald Trump, ed è la prima volta di un ex Presidente. Due sistemi diversi, nel primo il pm è un funzionario che risponde direttamente al ministro, nel secondo è una carica elettiva nei sistemi statali e di nomina governativa in quello federale. Due sistemi molto lontani da quello dell’Italia, perché in ambedue è garantita la terzietà dei giudici, mentre il rappresentante dell’accusa ne è lontano e separato. Due Stati che hanno la forza di processare i propri rappresentanti anche se il pubblico ministero non è politicamente autonomo e non responsabile, come accade in Italia.

Dove invece l’ipotesi di un legame tra colui che rappresenta l’accusa e il governo è agitata nei confronti di chi sostiene la separazione delle carriere, non solo come conseguenza automatica della riforma, ma anche come rischio per la democrazia. Due punti vanno chiariti. Il primo è che la proposta di legge in discussione nel nostro Parlamento, come articolata in un testo dell’Unione Camere Penali, forte di 70.000 firme raccolte tra i cittadini, prevede che pm e giudice facciano parte dello stesso ordinamento e si distinguano solo per funzioni, carriere e organizzazioni, con i due Csm. Il secondo è che solo nei paesi totalitari esiste la corporazione simile a quella italiana, mentre in tutte le democrazie occidentali i due ruoli, quello di chi accusa e quello che giudica, sono nettamente separati e il primo spesso deve render conto del proprio operato al famigerato “esecutivo”. Sotto sotto, nella cultura contro-riformatrice, e spesso addirittura reazionaria più che conservatrice della magistratura italiana, c’è una visione moralistica e dispregiativa nei confronti del mondo politico, istituzioni comprese.

Non stiamo parlando di qualche singolo magistrato ma dell’intera, o quasi, Anm, cioè il sindacato che ha mobilitato di recente 1.000 toghe con una petizione che indicava come “norma pericolosa” quella sulla separazione delle carriere voluta dal ministro Carlo Nordio e dall’avvocatura intera, oltre che dalla gran parte del mondo politico. Pericolosa perché?

Prima ancora della mobilitazione dei mille, erano partiti all’attacco i 500, la metà numerica ma più del doppio per peso specifico, cioè i procuratori in pensione come Giancarlo Caselli e Armando Spataro, l’avanguardia torinese della conservazione. Quali i “pericoli” per la democrazia? I due argomenti da sempre agitati in favore della conservazione eterna dell’esistente sono sempre gli stessi, e farebbero sorridere se dovessero entrare rumorosamente d’improvviso nelle aule dove, a New York e a Parigi, si stanno processando Donald Trump e Eric Dupond-Moretti.

Punto uno: proviamo a accusare i rispettivi pubblici ministeri, l’americano e il francese, di essere privi della “cultura della giurisdizione”. E poi rinfacciamo loro il fatto di non avere la volontà di processare gli uomini di governo a causa della loro subalternità dal potere medesimo.

Come mai, potremmo domandarci, il presidente Trump, che a sentire i sondaggisti americani, potrebbe vincere le elezioni del 2024, strilla nell’aula del tribunale di Manhattan dove deve rispondere di frode commerciale, “questo è un processo ingiusto” e “questa è una persecuzione da caccia alle streghe”?

Il fatto che il pm sia di nomina governativa non dovrebbe rendere lo stesso un imbelle tremante burattino nelle mani del potere? E quando il ministro Dupond- Moretti esordisce davanti alla Corte di giustizia della Repubblica sibilando “questo processo è un’infamia”, sta forse solo bacchettando un suo sottoposto “ribelle”?

Ma il punto centrale, quello che purtroppo rimane sempre un po’ nascosto, perché lo si dà per scontato o forse perché non è quello che dà il vero potere alle ambizioni delle toghe, è il ruolo del giudice. È di lui che si dovrebbe parlare, non solo in Parlamento in sede di riforma, ma anche nei convegni e nelle riunioni sindacali dei magistrati. Si dovrebbe avere a cuore la sua terzietà tra le parti, il suo essere soggetto neutro tra i contendenti. Lui dovrebbe essere il soggetto da difendere, il più degno di indossare la toga, e magari anche la parrucca. Ma troppo spesso pare invece, tra i suoi colleghi, il vaso di coccio in mezzo alla ferocia di quelli di ferro, come è capitato al gip di Milano Tommaso Perna.