sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Luigi Murciano

Il Piccolo, 16 ottobre 2022

La rappresentazione “Ho Risposto Sabbia” negli spazi dell’ora d’aria In “platea” anche le famiglie e c’è chi torna a riabbracciare la mamma. La corte interna destinata all’ora d’aria è esattamente come l’hanno raccontata decenni di cinema: un enorme quadrato protetto da mura altissime, opprimenti. Una sensazione acuita dal rumore del portone in acciaio che, greve, si chiude all’improvviso alle spalle, accompagnato da diversi giri di chiave. Guardare al cielo, unico squarcio di spazio libero davanti agli occhi - quadrato, appunto - diventa quasi istintivo. Ma che sia un po’ nuvoloso non importa a nessuno. Perché sabato il cortile dell’ora d’aria del carcere di via Barzellini è diventato qualcosa d’altro, e di bello: si è trasformato per la prima volta in un teatro aperto al pubblico.

Ancor più speciali gli attori: cinque detenuti della casa circondariale, guidati - tenuti per mano - da Elisa Menon e lo staff di Fierascena, la compagnia di teatro sociale che li ha accompagnati per mesi in un progetto innovativo. Andare in scena, per l’appunto, mettendo a nudo le proprie paure e i propri sogni. Assumendo un ruolo e dunque una nuova consapevolezza di sé. Magia e terapia del palcoscenico. Tecnicamente si trattava di una replica, ma era la prima volta con un’audience. E ora il sogno è un altro: portare lo spettacolo, e dunque anche gli attori-detenuti, fuori di lì, in un vero teatro. Sarebbe un traguardo storico. Gradisca si candida, se ne riparlerà a dicembre.

“Ho Risposto Sabbia”, reso possibile da Fondazione Carigo, Caritas diocesana ed Enaip, oltre che dall’amministrazione carceraria, più che uno spettacolo è stato un viaggio. Onirico e intriso di simbolismo: “Dall’altra parte del mare puoi vedere cos’eri e cosa sarai. E probabilmente la risposta non ti piacerà. Ma, se hai coraggio, guarda” invita Elisa all’inizio del viaggio. Le quinte sono le facciate stesse del cubo: le celle degli altri detenuti sembrano quasi occhi: qualcuno si affaccia e segue rispettosamente la performance dei cinque compagni. A “fondo sala” gli agenti di polizia penitenziaria sono schierati, stanno facendo il proprio lavoro di ogni giorno: eppure crediamo di non avere avuto un miraggio nel vedere un pizzico di emozione anche da parte loro.

Certamente di commozione ve n’è in platea. E non solo per i genitori di uno dei cinque attori. “Non lo vediamo da nove mesi, sarà emozionatissimo” confida la mamma. Fra loro, protagonisti di età e in un caso anche di etnia diversa, c’è chi sarà fuori da quelle sbarre fra appena pochi giorni. Chi sogna di tornare a fare il cuoco, chi vorrebbe qualcosa della sua vita di prima e chi ne vorrebbe una nuova di zecca. Ciascuno ti racconta un pezzo di sé. “Dobbiamo viaggiare in direzione delle nostre paure” esorta Elisa Menon, e capisci che i “suoi” ragazzi l’hanno fatto. Si tolgono le scarpe e attraversano il mare per davvero, scalzi, in una pozzanghera. Dall’altra parte c’è la sabbia. È il simbolo di ciò che li attende dall’altra parte, una terra nuova, fuori da lì e dalle proprie paure. Quei granelli, a decine di migliaia, sono loro ansie di non farcela, gli errori, i dolori, i rimorsi. Ma anche i nostri pregiudizi, quelli chi sta dall’altra parte.

I cinque si mescolano al pubblico, di quella sabbia te ne donano un po’. Quasi a chiederti di aiutarli a portare quel fardello, tutti assieme. Uno di loro regala quel mucchietto di sabbia alla sua mamma. E a quel punto anche la responsabile educativa del carcere, Margherita Venturoli, fatica a trattenere una lacrima. “Il teatro è esperienza di bellezza, aiuta a cambiare modo di essere e di pensare. Per progetti simili ci saremo sempre” commentano l’arcivescovo di Gorizia, monsignor Carlo Redaelli, il direttore di Caritas Renato Nucera e il presidente di Fondazione Carigo, Alberto Bergamin. La commozione si scioglie in un lungo applauso. I protagonisti si danno il “cinque”, è andata. Ma li aspettiamo fuori, per la replica più importante.