sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Errico Novi

Il Dubbio, 19 ottobre 2023

La soluzione di “diritto sostanziale” piace al calendiano Costa come al renziano Bonifazi: l’addio a Bonafede e Cartabia sarà meno attaccabile dai giustizialisti. Non è una rivoluzione. È la più semplice delle vie d’uscita. Con la proposta della maggioranza sulla prescrizione, sostenuta anche da Azione e Italia viva, si cancellano 5 anni di iperboli giustizialiste, e si vira su un sistema molto simile alla legge Orlando, l’ultima versione non indigesta di questo cardine del diritto penale. Ed è singolare, certo, che a ripristinare un modello nato e faticosamente cucito con la supervisione di un guardasigilli del Pd sia il centrodestra. Così come è singolare, ancor di più, che lo stesso Pd sia piuttosto orientato a difendere l’improcedibilità introdotta con Marta Cartabia, anziché valorizzare il testo concordato dai deputati Pittalis (FI), Bisa (Lega) e Varchi (FdI).

Non è il caso di dilungarsi sulle minime differenze fra la soluzione individuata dalla coalizione di governo, grazie al confronto con via Arenula e in particolare con il viceministro Francesco Paolo Sisto, e la riforma Orlando del 2017. A voler essere precisi, FdI, Lega e FI hanno optato per la soluzione indicata dalla Commissione Lattanzi, cioè dai saggi nominati dalla stessa guardasigilli, Cartabia, che poi fu costretta appunto al compromesso della “prescrizione processuale”. Ed è giusto, magari, segnalare anche che i dem, attraverso gli emendamenti depositati lunedì e passati ieri in commissione Giustizia al setaccio delle ammissibilità, proveranno a riavvicinare il testo Lattanzi alla Orlando.

Ma in realtà, a parte le inevitabili complicazioni dettate, nel caso del Pd, dal ruolo dell’opposizione, il dato rilevante è che il sostegno alla linea scelta dal centrodestra viene assicurato, anche stavolta, dall’ormai ex Terzo polo, cioè da Azione e da Italia viva. È la seconda volta. È già successo sugli emendamenti garantisti con cui Forza Italia è riuscita a bilanciare, in materia di intercettazioni, il decreto 105, nato sotto la spinta della Dna. Anche in occasione del non semplice confronto tra le forze di maggioranza scatenato da quel provvedimento, calendiani e renziani si sono schierati con le scelte garantiste proposte alla Camera dagli avvocati azzurri della commissione Giustizia, ossia Annarita Patriarca, Tommaso Calderone e Pietro Pittalis.

E anzi, lo stesso centrodestra ha dato l’ok a un emendamento presentato da Enrico Costa di Azione, che costringerà tutti i pm a indicare i costi di ciascun singolo ciclo di intercettazioni. Si dirà: sulla giustizia, come sul resto, il centrodestra è perfettamente in grado di fare da solo.

Non ha bisogno né di Renzi né di Calenda, e apparentemente neppure del sempre attivo e competente Costa o del deputato che rappresenta Italia viva in commissione Giustizia, Francesco Bonifazi. Certo, è così. Ma la politica non è fatta solo di numeri. Si gioca anche sul merito, sui contenuti. E il fatto che, sul diritto penale liberale, la maggioranza trovi puntualmente un’altra area politica pronta a convergere - pur in assenza di qualsiasi legame politico generale con la maggioranza Meloni -, be’, un peso lo ha. Quella convergenza rafforza la qualità delle scelte. Assicura un consenso largo, dimostra una volta per tutte che il garantismo del centrodestra non c’entra più nulla con la nostalgia per Berlusconi. Contribuisce cioè a demolire l’idea secondo cui il diritto penale liberale sarebbe una furbata a tutela dei potenti, come avvenne, sulla carta, con il Cavaliere. E naturalmente, il sì di Azione e Italia viva sulle intercettazioni o sulla prescrizione sostanziale dà forza alla linea del guardasigilli Carlo Nordio e alla agguerrita pattuglia di Forza Italia.

Non si può certo dire che è grazie a Renzi o a Costa se le soluzioni più restrittive, care magari o Fratelli d’Italia o alla Lega, non sempre prevalgono. E anzi, proprio sulla prescrizione è noto come la scelta del ritorno a una norma di diritto sostanziale, affrancata sia dal “fine processo mai” di Bonafede sia dalla controversa toppa dell’improcedibilità, fosse stata preannunciata, prima ancora delle Politiche, 2022 da Andrea Delmastro, oggi sottosegretario a via Arenula e già all’epoca plenipotenziario di Meloni sulla giustizia. Stavolta, davvero, anche senza l’appoggio del Terzo polo si sarebbe tranquillamente arrivati alla soluzione su cui hanno lavorato Sisto, Delmastro, il sottosegretario leghista Andrea Ostellari e, ovviamente, i già ricordati rappresentanti del centrodestra in commissione. Di più: si potrebbe notare che in questo caso non solo l’ex Terzo polo, ma persino il deputato di Alleanza Verdi Sinistra Devis Dori, pure lui avvocato, ha espresso condivisione: “È positivo aver sventato il rischio di un ritorno alla peggiore norma”, ha commentato, in riferimento alla legge ex Cirielli, da cui la maggioranza è partita come testo base.

Tutto vero: mai come stavolta il consenso sulla soluzione trovata è così solido che non è proprio il caso di scomodare il pallottoliere. Ma sul garantismo, si sa, il vero problema non è trovare i numeri in Parlamento, ma il consenso diffuso nell’opinione pubblica. Lì è la vera sfida, ed è la più difficile, come ha ricordato ieri in un’intervista al Dubbio Gaetano Pecorella.

E considerato che veniamo da anni di scelte giustizialiste - e che anzi la linea “general preventiva” continua a far capolino nell’attuale maggioranza, dai “rave” al decreto Caivano - avere una massa critica più forte sul versante opposto serve eccome. Che poi questo possa bastare a voltar pagina, a cambiare la testa degli italiani sul diritto penale, è tutto da vedere. Ma solo fino a due anni fa, per immaginare che i 5 Stelle si sarebbero trovati in netta minoranza sulla giustizia, e che del loro blocca- prescrizione sarebbe scomparsa ogni traccia, ci sarebbe voluto un notevole sforzo di fantasia.