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di Rocco Vazzana

Il Dubbio, 1 dicembre 2023

Dopo le parole di Crosetto, il caso Delmastro. E ora l’opposizione chiede le dimissioni del sottosegretario. Non è dato sapere se il ministro della Difesa Guido Crosetto si riferisse al rinvio a giudizio per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro quando, pochi giorni fa, aveva confessato al Corriere della sera le sue preoccupazioni per un nuovo, si fa per dire, protagonismo politico delle toghe.

Di certo, le tempistiche alimentano le chiacchiere e i sospetti. E la guerra latente tra potere esecutivo e giudiziario si fa sempre più calda. Perché se quello di Crosetto voleva essere una sorta di attacco preventivo, cautelativo per certi aspetti, alla magistratura si può dire non abbia sorbito gli effetti sperati, anzi. I giudici vanno dritti per la loro strada, così come la politica: Delmastro dovrà affrontare un processo per rispondere all’accusa di aver spifferato al suo compagno di partito e di appartamento Giovanni Donzelli informazioni riservate, ma non dovrà rinunciare a nessun incarico di governo. I Fratelli d’Italia e la premier Giorgia Meloni fanno infatti quadrato attorno al sottosegretario che resta al suo posto, nonostante le proteste delle opposizioni. Delmastro gode ancora della fiducia e della solidarietà della maggioranza.

E perché non dovrebbe, visto che fin dall’inizio di questa storia, nel luglio scorso, ben prima delle dichiarazioni di Crosetto, la linea del governo è sempre stata la stessa? “È lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione”, avevano fatto sapere “anonime” fonti di Palazzo Chigi la scorsa estate, quando la gip Emanuela Attura aveva deciso di procedere con l’imputazione coatta nei confronti di Delmastro. E ancora: è lecito domandarsi se una fascia della magistratura “abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee”, attaccavano le “anonime fonti”, prima di rivelarsi, qualche giorno dopo, nella persona della presidente del Consiglio. Parole dure, che avevano indotto AreaDg, la corrente progressista delle toghe, a depositare al Csm una richiesta di pratica a tutela della giudice finita nel mirino dell’esecutivo.

È quello lo sparo di Sarajevo. È quello l’inizio ufficiale del conflitto tra poteri dello Stato. Un confronto aspro, proseguito tra fasi calde e fasi fredde, con alcuni picchi registrati pochi mesi fa, quando, nel mirino di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni finisce la giudice Iolanda Apostolico, “accusata” di aver smantellato con il decreto Cutro, non convalidando il trattenimento di quattro cittadini tunisini nel cpr di Pozzallo. Se il ministro delle Infrastrutture provvede col suo stile a screditare Apostolico, diffondendo in rete alcuni video (di provenienza mai chiarita) che la ritrarrebbero tra i manifestanti filo migranti al porto di Catania, la premier usa i social network per dirsi “basita” dalla scelta di una giudice di scagliarsi “contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto”.

Altre barricate dell’Anm, altra richiesta di pratica a tutela, altra risposta compatta delle toghe. Provvedimenti analoghi a quelli della giudice Apostolico vengono adottati infatti anche dai tribunali di Bologna e Firenze. A differenza dell’era berlusconiana, protagonisti dello scontro non sono governo e pm ma governo e giudici.

Con le dichiarazioni del ministro Crosetto sulla “opposizione giudiziaria”, però, il fronte si allarga. Così tanto da spingere persino la minoranza parlamentare a uscire dal torpore e chiedere le dimissioni di Delmastro dopo il rinvio a giudizio. Ma il diretto interessato, sostenuto dal suo partito, non ha alcuna intenzione di concedere passi indietro. “Intendo continuare ad esercitare il mio ruolo, al meglio, all’interno del ministero della Giustizia. Così come mi è stato chiesto dai tanti che in questo momento mi stanno testimoniando solidarietà per questo inconsueto rinvio a giudizio”, dice il sottosegretario, puntando il dito contro la scelta del tribunale, contraria a quanto richiesto dalla procura: l’archiviazione. “Tradizionalmente la pubblica accusa si oppone alla difesa: in questo caso sosterranno la stessa tesi, cioè che non c’è reato, come ribadito ieri dal pubblico ministero in udienza, ma il Gup com’è nel suo diritto ha deciso in un altro modo”, dice, marcando lo stesso concetto Tommaso Foti, capogruppo FdI alla Camera. “A quanto pare, per la sinistra non vale neanche la sentenza di primo grado vale, ma vale solo la richiesta di rinvio a giudizio”, aggiunge Foti, preso finalmente da un improvviso impeto di garantismo.

Ma Riccardo Magi di +Europa ribatte: “Abbiamo chiesto le dimissioni di Delmastro già prima del rinvio a giudizio”, dice l’esponente d’opposizione. Che poi aggiunge: “Meloni smetta di difendere l’indifendibile e Delmastro si dimetta”. La maggioranza ha i numeri per respingere qualsiasi eventuale mozione di sfiducia nei confronti del sottosegretario. Ma per lo scontro con la magistratura i numeri in Parlamento non bastano.