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di Luca Caglio

Corriere della Sera, 17 settembre 2023

Da senzatetto a Milano chiede l’elemosina sul metrò. A marzo ha subito l’amputazione e ora si muove con l’aiuto delle stampelle. “Facevo le fiere e i mercati con papà. Ho scoperto la droga da adolescente in discoteca”. Reduce dagli inferi della tossicodipendenza ma i giorni son brutti uguale, in strada a Milano, senza dimora né lavoro. Anche se da anni ha smesso di farsi, lui che adesso vorrebbe rifarsi. Una vita. Anche se da marzo non ha più una gamba e la protesi è ancora un po’ ballerina: tre giri di scotch dal ferramenta in via Pacini. Scene mai viste. Anche se oggi è un ex zombie, presentabile e presente a sé stesso, un’anima in pena confinata a Lambrate in attesa del “treno” giusto.

L’elemosina sul metrò - Si trascina sulle stampelle, Marco Cesardi, 40 anni, che per fare qualche euro scende in metropolitana. L’elemosina tra i vagoni. “Fatica e vergogna, non ho molta autonomia ma devo mangiare. Mai rubato, mai. Spacciato sì. Quando mi va bene pernotto in ostello, altrimenti dormo su una panchina in viale Rimembranze, io che avrei bisogno di medicare almeno la gamba, il moncone intendo: vedi, ha fatto un bel callo ma è rimasto un buchino, una ferita che dà un gran fastidio. Il fatto è che la sforzo troppo, però basta sedia a rotelle. Mi servirebbe una stanza con un bagno, se qualcuno volesse aiutarmi. Mi hanno operato alla clinica Città Studi e dato la morfina. Ora ho la sindrome dell’arto fantasma, per esempio avverto prurito o formicolio al piede ma quando faccio per grattarmi, diamine, il piede non c’è. Da impazzire. A fine mese si riunisce una commissione per decidere sulla pensione di invalidità, ma io vorrei lavorare, magari un part time adatto alla mia condizione. Vorrei una chance”.

“Quello che mi ricordo” - Marco seduto al bar, una centrifuga di ricordi, qualcuno solo accennato perché interrotto dal pianto o da una sigaretta - “Scusa, capo, hai da accendere?” - e altri più definiti. Come con le canzoni che ricerchi freneticamente sul telefono ma che talvolta, dopo le prime strofe, anche basta: la prossima. “A trent’anni mi facevo 15 “pere” di eroina al giorno spendendo fino a 150 euro, spesso al boschetto di Rogoredo. Un prete missionario mi notò per strada e si offrì di lavarmi i vestiti alla Casa della Carità. Poi un giorno mi disse: “Marco, come posso renderti felice?”. Riavere il mio sorriso, don. Mi erano rimasti tre denti, non sono un brutto ragazzo”. Il sacerdote pagò le cure da un dentista. Un salto nel presente: “Mi sto sentendo con una donna di Torino conosciuta su Facebook, sono andato a trovarla, mi dà energia”.”

Il casolare dell’infanzia - Marco sfoglia l’album in ordine sparso, rimestando anche nell’infanzia già abbozzata su un taccuino - “Quello che mi ricordo” - in ospedale, dopo l’amputazione: “Sono nato a Borgomanero (Novara). Mi ricordo la casa di famiglia, che poi era un grande casolare con il giardino e il posto per gli animali: un bellissimo cane da caccia, le anatre, i conigli, galli e galline a cui nonna tirava il collo. Tanti parenti, nel casolare. Mi ricordo che sulla stufa c’erano sempre pentoloni d’acqua a scaldare, ci riempivamo la vasca da bagno per non sprecare quella corrente, dunque le corse per essere il primo a lavarmi. Mi ricordo che quando avevo bisogno del bagno, d’inverno, chiedevo alla nonna di sedersi sulla tazza a scaldarla un po’. Ricordo che i miei si sono separati presto, avevo 2 anni: papà era un rappresentante di materassi, sempre in giro, ma anche un tipo libertino e giocatore di poker. Andò via con una donna che aveva già due figlie, ne fecero un terzo. Tornerò a parlargli dopo molto tempo. Io sono rimasto con mamma insieme a mio fratello, maggiore di 7 anni, che inizierà a drogarsi…”.  

Disco, pastiglie e fiere - Adolescenza, la porta dell’inferno, e con una famiglia disunita è più facile attraversarla. Eleggendo a nuova “casa” la discoteca e salutando l’innocenza. Non solo canne. “A 14 anni ballo e mi sballo con pasticche di ecstasy, droga vera, come mio fratello, come la mia prima ragazza”. La scuola? “Neanche la terza media. L’anno del diploma mancato ero a Genova, ospite in una casa-famiglia, ma son scappato per tornare da mamma, a Gozzano. Ho iniziato a lavorare come saldatore di rubinetti. Nel weekend aiutavo papà, l’avevo perdonato, nelle fiere e nei mercati: io, un giovane venditore ambulante. Ma ero già dipendente dalle sostanze: tiravo cocaina. Non c’è un motivo, succede che la provi e non sai se ti fermerai. Appena maggiorenne gestivo un circolino a Pogno, sempre nel Novarese, che ho chiuso dopo aver chiuso con una, una tipa, tradendo gli anziani clienti. Meglio le fiere…”.

Imbonitore nelle fiere - Quando Marco ne parla, di fiere e mercati, la voce squilla. Lui e papà, sul camper, di regione in regione. Tappe milanesi: viale Papiniano, Sant’Ambrogio, Rho. Lui ventenne e una nuova compagna di viaggio: l’eroina. “Ero bravo, un mattatore, facevo le dimostrazioni, hai presente il tagliaverdure? “Signora mia, questo è super, gliele fa in tutti i modi, guardi: da questa parte alla julienne, ma se lo gira… taglio alla giardiniera. E se gratta qui, voilà, concassé! In omaggio lo spremilimone. Avevo il mio pubblico, guadagnavo. Mi chiamavano anche altri ambulanti con licenza. Ho preso un appartamento in affitto a Legnano, non distante da papà che stava in provincia di Varese. Anche mamma si era fatta un nuovo compagno”. Luci e ombre.

Giù dal balcone - Luci spente dopo la morte del signor Cesardi, dieci anni fa, quel genitore sparito e poi ritrovato all’imbrunire. Muore anche Marco, il suo lato umano e ancora tangente alla salvezza, perché a 30 anni non c’è condanna definitiva. Invece lui “gioca” di sponda con il lato oscuro per consumare e consumarsi, risucchiato dalle droghe. “Mi sono lasciato andare smettendo di lavorare, e non pagando più l’affitto mi hanno sfrattato”.

Nel boschetto di Rogoredo - Da Legnano a Milano, supermarket dell’eroina. Oltre la stazione di Rogoredo c’è il boschetto, quasi un vezzeggiativo: 15 “pere” al giorno. “Ho trovato una stanza a Romolo pagando due spicci a una coppia di giovani tossici, nelle popolari, con un figlio. Un giorno ha bussato il padre di lei, o di lui, per portarli via, così mi sono ritrovato in una casa tutta per me, sebbene da abusivo. Ho ospitato altri sbandati finché una sera qualcuno ha aperto il fuoco, sarà stato il 2015, e io mi son lanciato dal balcone. Capito come mi sono spaccato tutto, le gambe? I ferri dentro, una almeno si è salvata, l’altra è stata un tormento. Da quella caduta, però, mi sono rialzato, anche grazie a una ragazza, Ambra, che mi è stata vicino dopo l’ospedale”.

La comunità - Su in Val Camonica, giù il metadone contro i sintomi dell’astinenza, tra le comunità bresciane di Edolo e Sonico: 28 mesi per ribellarsi alla dittatura della “roba”, diventando nel tempo un riferimento per gli ultimi arrivati. “Ho anche lavorato, sette mesi, per conto della struttura: smistamento rifiuti. E sono stato in diverse scuole a raccontarmi, far prevenzione, casomai servisse ai giovani a tenerli lontano. Dopo la comunità ho ricercato mamma, ma questa volta ho trovato un muro, allora eccomi in strada, a Milano, senza più una gamba. Sono stufo di mendicare, ho bisogno d’aiuto, magari una stanza e un lavoro part time”.