di Nicolò Delvecchio
Corriere della Sera, 23 ottobre 2024
Il 65enne era detenuto in carcere per l’omicidio della moglie 60enne, Maria Turturo, avvenuto il 6 ottobre scorso. La figlia, sui social, pubblica emotion di festa, ma precisa: “Non è un festeggiamento, è giustizia per mamma”. Lunedì aveva chiesto e ottenuto il permesso per visitare la tomba della moglie nel cimitero di Gravina, nel quale si era soffermato per un’oretta di pomeriggio, in orario di chiusura. Poche ore dopo, di notte, ha legato un’estremità del lenzuolo alle sbarre del letto e l’altra al suo collo, togliendosi la vita nella sua cella del carcere di Bari.
Giuseppe Lacarpia, il 65enne di Gravina in Puglia fermato lo scorso 6 ottobre per l’omicidio della moglie, la 60enne Maria Arcangela Turturo, ha scritto così la parola fine a una tragedia familiare iniziata due settimane fa ma che, in realtà, andava avanti da molto più tempo. Perché prima della morte della donna c’erano state le botte, le denunce, i processi, il tentativo di accoltellare il figlio intervenuto per difendere la madre durante una lite. E anche due precedenti tentativi di suicidio per i quali era stato già ricoverato in ospedale. Una situazione molto problematica, al punto che una delle figlie della coppia, Antonella, ieri ha commentato la notizia del suicidio su Facebook con delle emoticon festanti: “Sono tutte le preghiere fatte per mamma”, ha scritto sui social. Salvo poi precisare: “Non è un festeggiamento, è giustizia per la mia mamma”.
La vicenda giudiziaria, però, potrebbe non essere del tutto terminata: se l’indagine per l’omicidio non avrà evidentemente altro futuro, la Procura di Bari ha avviato però altri accertamenti sul suicidio di Lacarpia. Da capire, infatti, se ci siano state falle nel sistema di sicurezza, anche se per l’uomo non era stata disposta la sorveglianza a vista per 24 ore.
Sul corpo del 65enne, in ogni caso, verrà svolta l’autopsia, l’incarico sarà conferito nella giornata del 22 ottobre. Già il giorno dopo essere entrato in carcere, comunque, Lacarpia era caduto dal letto della sua cella ed era stato ricoverato per alcuni giorni nel Policlinico di Bari, e per questo la convalida del suo fermo si era svolta in sua assenza. Poi, interrogato dalla gip Valeria Isabella Valenzi, aveva fornito la stessa versione data subito dopo i fatti: “Ho provato a rianimarla, avevamo fatto un incidente e la macchina aveva preso fuoco”. Nessuno, però, gli ha creduto.
A incastrare Lacarpia, infatti, sono state essenzialmente due circostanze. La prima è la testimonianza della moglie che, prima di morire, ha raccontato le sue verità alla figlia Antonella e a un poliziotto: “Mi voleva uccidere, mi ha messo le mani alla gola. Mi ha chiuso in macchina con le fiamme”. Arrivata in ospedale con ustioni e varie fratture, è morta al “Perinei” di Altamura dopo aver salutato per l’ultima volta la figlia. La seconda circostanza decisiva è invece il video girato da una ragazza che, in quel momento, passava con gli amici per la strada di campagna nella periferia di Gravina in cui è successo il fatto. “Ho sentito gridare “Aiuto, aiuto”, c’era la donna sdraiata a terra e un uomo in ginocchio che aveva le mani su di lei. Noi gli abbiamo gridato “Ma che stai facendo?”, e lui non rispondeva. Poi ha ripreso a spingere con le mani sul petto della donna”, ha detto agli inquirenti. L’uomo, malato di Alzheimer e demenza senile, in questa circostanza è stato giudicato capace di intendere e di volere.